Il tresette col morto

Che l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia avesse provocato la possibilità di un vero e proprio conflitto mondiale si era capito da tempo. D’altra parte in un’era globalizzata come quella attuale basta poco a scompigliare le carte del mondo intero. Da tempo papa Francesco sostiene che sia da tempo in atto una guerra mondiale seppure a spizzichi e bocconi: un focolaio qua un focolaio là, un’alluvione latente da cui emergono i fontanazzi bellici sparsi nel mondo.

Il focolaio russo-ucraino era in atto da parecchio tempo, è stato sottovalutato o retrocesso a mero conflitto locale in cui non mettere il naso, senonché il focolaio ha prodotto un incendio in piena regola e i pompieri occidentali, anziché contribuire a smorzarlo, hanno buttato benzina sul fuoco, mossi da interessi divergenti, trascinati dagli Usa, senza andare tanto per il sottile e senza fare alcun mea culpa sugli errori ed omissioni del passato.

L’invasione andava fermata sul piano militare, la Russia diventava improvvisamente il nemico da battere a tutti i costi, l’Ucraina costituiva l’avamposto occidentale da cui non retrocedere. Da una parte il conflitto veniva ideologizzato e storicizzato in un rapporto “ancestralmente” difficilissimo tra Ucraina e Russia, dall’altra parte veniva interpretato come pericoloso attacco culturale alla democrazia occidentale, dall’altra ancora come etica ed imprescindibile necessità di difendere l’Ucraina da un’aggressione in piena regola.

Stiamo tuttora andando avanti su questo schema, forse più subito che condiviso dall’Europa disunita nei confronti degli Usa. In questi ultimi giorni sono avvenuti tre fatti di natura e portata diversa che hanno complicato la situazione e che potrebbero costringere gli attori a rivedere se non il copione almeno lo stile interpretativo.

La proposta di pace formulata dalla Cina, a prescindere dai suoi contenuti, che definirei preliminari, ha reso ancor più evidente come la soluzione del problema passi anche da questa terza potenza in campo: i cinesi hanno battuto un colpo per chiarire, se ce n’era bisogno, che non intendono fare da spettatori nel teatro bellico. Tutta da capire la loro strategia, oscillante fra la mera difesa dell’espansionismo economico e la conquista di un protagonismo politico alle spese dell’amica Russia da cannibalizzare nel dopo-Putin.

La votazione tutt’altro che unanime della recente mozione Onu di condanna verso la Russia sta a dimostrare come una buona fetta del mondo e dei suoi abitanti non sia assolutamente in linea con l’impostazione del problema da parte dell’Occidente. L’opinione pubblica mondiale è spaccata e non si può pensare che il pensiero scettico e critico di chi rifiuta la spartizione sic et simpliciter fra buoni e cattivi sia da considerare un elemento di dettaglio.

La piccata reazione di Zelensky alle divisioni nella maggioranza di governo italiana sta a dimostrare come da parte ucraina esista una forte preoccupazione rispetto alla sempre più significativa presa di distanza critica delle opinioni pubbliche europee: l’Ucraina infatti non può pensare che tutto dipenda dai baci e abbracci statunitensi, ma sta capendo che il suo futuro è anche nelle mani europee a livello economico e politico.

Il gioco quindi è molto più complicato di quanto si voglia far credere e allora o ci si rassegna ad una guerra costante nel tempo con evidenti e pazzesche ripercussioni sul nostro modo di vivere e di morire oppure si comincia un giro diplomatico, delicatissimo ma inevitabile, di cui la sortita cinese può essere una sorta di apertura.

Comprensibile la reazione tutto sommato possibilista di Zelensky, il quale probabilmente non vuole fare la parte del morto in un drammatico tresette giocato fra Russia, Usa e Cina. Meno accettabile la reazione drasticamente negativa di Usa e Nato, a meno che non si voglia disprezzare la proposta cinese per poi comprarla al più basso prezzo possibile. E l’Europa? Inspiegabilmente afona, alle prese con le smanie di supremazia al proprio interno, con le spinte sovraniste e populiste e con la carenza di leadership. E l’Italia? Lasciamo perdere…