Gli ossimori della democrazia

In merito al dopo terremoto in Turchia risulta che “dalla provincia di Hatay arriva sui social la denuncia che i soccorsi non sono stati tempestivi. Un testimone riferisce che “non ci sono squadre di soccorso della gestione turca dei disastri e delle emergenze a Hatay. Le persone stanno cercando di estrarre i propri cari intrappolati sotto le macerie. Fa freddo, piove, manca l’elettricità”. Per i post “provocatori che miravano a creare paura e panico” la polizia ha arrestato quattro persone, mentre è in corso un’indagine più ampia sugli account dei social media. Negli ultimi anni le autorità turche hanno dato un giro di vite ai post sui social media, soprattutto a quelli considerati di supporto al “terrore” e questo ha portato ad accuse di limitazione della libertà di espressione” (Avvenire).

Ebbene, sono andato a riprendermi il discorso che, nel 1980 all’indomani del terremoto in Irpinia, fece l’allora presidente della Repubblica Sandro Pertini. Lo riporto di seguito nei passaggi fondamentali.

“Italiane e italiani, sono tornato ieri sera dalle zone devastate dalla tremenda catastrofe sismica. Ho assistito a degli spettacoli che mai dimenticherò. Interi paesi rasi al suolo, la disperazione dei sopravvissuti […] Sono arrivato in quei paesi subito dopo la notizia che mi è giunta a Roma della catastrofe, sono partito ieri sera. Ebbene, a distanza di 48 ore, non erano ancora giunti in quei paesi gli aiuti necessari. È vero, io sono stato avvicinato dagli abitanti delle zone terremotate che mi hanno manifestato la loro disperazione e il loro dolore, ma anche la loro rabbia. […] Quello che ho potuto constatare è che non vi sono stati i soccorsi immediati che avrebbero dovuto esserci. Ancora dalle macerie si levavano gemiti, grida di disperazione di sepolti vivi. […]

Nel 1970 in Parlamento furono votate leggi riguardanti le calamità naturali. Vengo a sapere adesso che non sono stati attuati i regolamenti di esecuzione di queste leggi. E mi chiedo: se questi centri di soccorso immediati sono stati istituiti, perché non hanno funzionato? Perché a distanza di 48 ore non si è fatta sentire la loro presenza in queste zone devastate? […]

Non deve ripetersi quello che è avvenuto nel Belice […] dove a distanza di 13 anni non sono state ancora costruite le case promesse. I terremotati vivono ancora in baracche: eppure allora fu stanziato il denaro necessario. Le somme necessarie furono stanziate. Mi chiedo: dove è andato a finire questo denaro? Chi è che ha speculato su questa disgrazia del Belice? E se vi è qualcuno che ha speculato, io chiedo: costui è in carcere? […] Perché l’infamia maggiore, per me, è quella di speculare sulle disgrazie altrui. Quindi, non si ripeta, per carità, quanto è avvenuto nel Belice, perché sarebbe un affronto non solo alle vittime di questo disastro sismico, ma sarebbe un’offesa che toccherebbe la coscienza di tutti gli italiani, della nazione intera e della mia prima di tutto.

Un appello voglio rivolgere a voi, italiane e italiani, senza retorica, un appello che sorge dal mio cuore, di un uomo che ha assistito a tante tragedie, a degli spettacoli, che mai dimenticherò, di dolore e di disperazione in quei paesi. A tutte le italiane e gli italiani: qui non c’entra la politica, qui c’entra la solidarietà umana, tutte le italiane e gli italiani devono mobilitarsi per andare in aiuto a questi fratelli colpiti da questa nuova sciagura. Perché, credetemi, il modo migliore di ricordare i morti è quello di pensare ai vivi”.

Due modi di intendere e vivere la democrazia. È soprattutto nei momenti di grave difficoltà che dovrebbe emergere la superiorità del sistema democratico rispetto agli altri. Non mi scandalizzo dei ritardi nei soccorsi, può succedere in concomitanza con eventi di eccezionale gravità. Non è il caso di gufare, ma semmai di dare una mano.

La mia riflessione è però un’altra. Winston Churchill in un discorso alla Camera dei Comuni, nel novembre 1947, pronunciò una frase diventata storica: «È stato detto che la democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle forme che si sono sperimentate finora». In quelle sperimentate dopo il 1947 c’è anche l’autocrazia turca, una forma di governo in cui un singolo individuo, Recep Tayyip Erdoğan, detiene un potere pressoché assoluto. Questo abile e squallido dittatore non ho mai capito cosa ci stia a fare nella Nato se non a squalificarla ulteriormente. Nella guerra fra Russia e Ucraina gioca un vomitevole ruolo di finto mediatore: in mancanza di meglio ha trovato un suo incredibile spazio di manovra.

Siccome il lupo perde il pelo ma non il vizio, eccolo alle prese col terremoto: sta mettendo il bavaglio a chi si lamenta per i ritardi e la disorganizzazione del dopo scisma. Poveri Turchi, se lo devono bere anche perché da lui transiteranno gli aiuti di Oriente e Occidente: non è certamente questo il momento di stare a sottilizzare sulla patente democratica di Erdoğan.

Tutti hanno definito il terremoto in Turchia e Siria come un’apocalisse. Non vorrei che diventasse anche il segno di un’apocalisse geo-politica: nei rapporti fra gli Stati non ci si capisce più niente, siamo in mano a nessuno, se non ad autentici e vari delinquenti (ce n’è una bella scelta). Il terremoto aggiunge una tessera al mosaico di autodistruzione totale, in senso proprio (la catastrofe naturale), ma anche in senso politico (la democrazia sotto i piedi e sotto le macerie). Erdogan non ha nemmeno il buongusto di ammettere l’incapacità a gestire il dopo-terremoto, preferisce prendersela coi social media che denunciano un pezzo di verità.

D’altra parte, a casa nostra non va molto meglio: per coprire la inettitudine diplomatica e la vuotaggine valoriale in merito alla guerra russo-ucraina, facciamo i bravi italiani commuovendoci per i disastri di questo conflitto nel bel mezzo di un festival della canzone. Un perfetto ossimoro culturale e geopolitico, della serie “canta che passa anche la guerra”.