Caspita! Lasciano morire Cospito!

Leggi transitorie che diventano definitive. Pene rieducative che portano all’ergastolo ostativo. Massimo Cacciari è indignato. Il filosofo, già sindaco di Venezia e senatore, nella sua triplice esperienza di accademico, amministratore e legislatore punta il dito contro la deriva dello stato di diritto. E rivolge un appello a Carlo Nordio, con cui ha coabitato nella città lagunare, affinché limiti l’applicazione del 41bis, legge speciale che tradisce la Costituzione e che va, in prospettiva, eliminato.

Questo, in estrema sintesi, il parere di Cacciari, così come emerge da un’intervista rilasciata al quotidiano “Il riformista” sul caso Cospito, di cui ritengo opportuno riportare di seguito e testualmente alcuni passaggi.

Il regime carcerario del 41bis. Volendo anche lasciare impregiudicato il fatto che sia da dismettere o non dismettere, è evidente che questa pena, la legge speciale sul regime carcerario duro, contraddicendo i principi generali della Costituzione, va applicata comunque con estremo raziocinio. Deve essere dimostrato che dal carcere ci sono dei capimafia stragisti che possono continuare a guidare l’organizzazione malavitosa. Se si decide di mantenere il 41bis, deve essere una extrema ratio, da centellinare e riservare solo ai casi più pericolosi, con comprovate reti di collegamento nella criminalità operativa, dove ci sono boss capaci di tornare a uccidere.

Il caso Cospito. Un caso che con la mafia non c’entra niente. Niente. Un elemento che per carità, avrà sbagliato, si sarà macchiato di reati, ma non ha mai ucciso nessuno e non è a capo di una rete criminale stragista. Se non sbaglio, Cospito è in carcere per aver messo una bomba carta che è esplosa una sera, senza fare danni né feriti. E lo mettiamo al 41bis? Ma dico, stiamo scherzando? Un uomo che sarà pure un militante anarchico, ma cosa vuol dire? È uno di cui possiamo non condividere le idee politiche ma che con la malavita organizzata non ha nulla a che fare. Se siamo in presenza dell’applicazione delle norme in maniera così spregiudicata, per carità, si abolisca il 41bis. Vuol dire che non sappiamo applicare le leggi con la giusta misura, e allora meglio non ricorrervi. È evidente. Aboliamo la norma immediatamente.

La posizione dello Stato. È una cosa assolutamente irragionevole. Una cosa pazzesca. E per questo mi sono rivolto al ministro della Giustizia, Carlo Nordio, che conosco da anni e che è tutt’altro che un giustizialista. È un giurista che ha espresso ancora da tempo i suoi dubbi sulla normativa d’emergenza. Il mio appello è semplice: Nordio sia orgogliosamente se stesso. Si faccia valere nel governo. Non tema nessuno. Batta i pugni sul tavolo. Prenda di petto il tema di quelle norme che dovevano essere transitorie e di emergenza e poi, come mille altre cose in Italia, diventano per prassi definitive. Se non può rimuovere il 41bis, lo faccia applicare con l’attenzione dovuta. Deve almeno riuscire a verificare che le norme vengano applicate solo in casi di straordinaria emergenza. Altrimenti non solo si contraddicono i principi costituzionali ma si cade in aberrazioni del diritto come mai ne abbiamo incontrati prima, neanche in caso di terrorismo. Cospito non può essere trattato come un pericoloso mafioso stragista. Cosa si teme? Che organizzi la rivoluzione anarchica in Italia? Ma vogliamo ridere? Piuttosto che curino questo poveretto. E che lo mettano in condizione di difendersi: il suo reato è da ergastolo? Io davvero non me lo spiego.

Il regime del 41bis e l’ergastolo ostativo. Tanto vale dircelo, senza ipocrisie: lo Stato ammette la Vendetta come pena, deve eseguire condanne esemplari sulla pubblica piazza. Scriviamolo pure: in certi casi la legge ammette che ci sia la Vendetta, come monito spaventoso erga omnes.

Il problema sollevato da Alessandro Cospito, il detenuto giunto allo stremo delle sue forze a seguito di un lungo sciopero della fame per protesta contro la carcerazione dura a lui applicata, mette in evidenza profili di carattere giuridico, umanitario e politico.

Sul piano giuridico si viaggia sul filo del rasoio della Costituzione per non dire in aperta violazione della stessa, che non ammette deroghe ai principi della difesa della salute del condannato e della finalità rieducativa della pena applicata. Sono state fatte eccezioni, che purtroppo sono diventate regole. Occorre tornare nel solco della Costituzione ed uscire dalla logica della vendetta, della gogna, del fine pena mai, del colpirne uno per educarne cento.

Dal punto di vista umanitario non si può prescindere dal rispetto della persona, che è appunto il perno della Costituzione e dal riconoscimento dei diritti fondamentali dell’uomo in quanto tale. Questo è il punto di partenza! Irrinunciabile! Il nostro sistema carcerario, anche senza ricorrere alle durezze ed alle durate particolari, non risponde a questi presupposti, basti pensare al numero di suicidi che avvengono dietro le sbarre.

Politicamente parlando si oscilla pericolosamente tra la difesa dell’ordine e la prevaricazione dei diritti, tra la piazza che ostenta le sue preoccupazioni e la persona che vanta i propri diritti. L’attuale governo, per divergenze interne, per richiami ancestrali a certe dottrine politiche, per maniacale ricerca di identità populista, per opportunismo perbenista, per decisionismo pilatesco e burocratico, brancola nel buio, finendo col lisciare il pelo al giustizialismo da bar, mostrando i muscoli in una battaglia, che non si vince con la forza ma con il buon senso.

La linea della fermezza adottata nel passato ha recato più danni che vantaggi. Durante una squallida e gelida conferenza stampa tenuta dai ministri della Giustizia, degli Interni e degli Esteri (i tecnici purtroppo non si smentiscono e governano come robot senza il cuore: mi fanno paura soprattutto quali membri del governo Meloni, perché fanno da foglia di fico burocratica ad una pericolosissima svolta reazionaria) ci si è addirittura rifatti all’atteggiamento dello Stato tenuto durante il sequestro Moro, condiviso da tanti uomini della Resistenza e dai partiti politici. A mio modesto giudizio sbagliarono tutti, perché la fermezza non è un totem a prescindere, va coniugata con la situazione complessiva dello Stato, della società e con i rischi che si corrono. Il ministro Nordio ha affermato che, se allora si fosse ceduto in qualche modo, sarebbe stato un disastro. I disastri, la morte di Moro e i successivi attentati terroristici, ci furono comunque e del più grave, vale a dire quello politico innescato dalla morte di colui che in quel periodo era il perno dei processi democratici in corso, soffriamo ancora le conseguenze.

Cerchiamo di essere seri e stiamo rigorosamente nell’alveo costituzionale. Vale per il caso Cospito, ma anche per tanti altri casi più o meno emblematici. Se, come sembra, il governo dovesse lasciar morire in carcere Alfredo Cospito, finirebbe oltre tutto col crearne un martire, col fare un perfetto assist ai rigurgiti anarchici e financo terroristici, col mettersi, dietro il paravento della lotta alla mafia, sulla strada insensata ed antidemocratica della criminalizzazione pregiudiziale ed irreversibile di ogni e qualsiasi spinta anti-sistema.