Una destra a scostamento ridotto

La politica spunta da tutte le parti, da dove meno te l’aspetti. Tutti pensano alle difficoltà del governo Meloni in relazione alla gravissima situazione economica, mentre invece stanno emergendo due autentici macigni contro cui il governo sta andando a sbattere: il rapporto con la magistratura e la cosiddetta autonomia rafforzata delle regioni. Manco a farlo apposta questi due nodi molto intricati sono nelle mani di due ministri non legati a Fratelli d’Italia, ma uno, Roberto Calderoli ministro per gli affari regionali e le autonomie, riconducibile a Matteo Salvini ed al desiderio spasmodico di recuperare visibilità e consenso per la Lega in chiave territorialmente autonomista, l’altro, Carlo Nordio ministro della giustizia, paladino più o meno berlusconiano del ridimensionamento dei poteri della magistratura.

Rispuntano dalla finestra le spinose questioni sorte alla formazione della compagine ministeriale, vale a dire il peso di Salvini e Berlusconi all’interno del governo: non fu un caso la loro comune alzata di sopracciglio di fronte alla prepotente autocandidatura meloniana a dirigere l’orchestra governativa. Furono costretti ad accontentarsi di un Giorgetti al Mef e di un Nordio alla Giustizia: erano ben altre le loro mire, ma Giorgia Meloni si impuntò e sembrò averla vinta.

Il tempo non le sta dando ragione. Quanto al presidenzialismo, cavallo di battaglia identitario del partito della premier, si sta profilando la pietra d’inciampo della regionalizzazione spinta ispirata dalla Lega; quanto al giustizialismo securitario fumosamente buttato negli occhi degli elettori, si sta verificando un corto circuito con i magistrati collegabile più ad una rivincita di stampo berlusconiano che ad una razionale revisione garantista del sistema giudiziario.

Per Giorgia Meloni stanno rispuntando i fantasmi che pensava di avere liquidato, ponendo gli alleati, ridimensionati dalle urne, a sgabello dei suoi piedi. Per governare non bastano i voti, bisogna essere capaci e fare comunque i conti forse più con gli amici che con i nemici.

Proprio nel momento in cui la premier si stava attrezzando a cavalcare lo statalismo vincente (?) sulla mafia, c’è qualcuno che piccona lo Stato mettendone in discussione l’unità e qualcun altro che butta benzina sul fuoco dei rapporti fra i poteri dello Stato. Le stanno sfilando il trionfalismo di facciata, ributtandola nella bagarre costituzionale ed istituzionale.

Roberto Calderoli e con lui la Lega, in mezzo a tanto rancore, collocano anche qualche seria ragione, così come Carlo Nordio e con lui Silvio Berlusconi, in mezzo a tanta rivalsa anti-giudiziaria, mettono anche qualche sacrosanta puntualizzazione. Il clima però è tale da rendere impossibili riforme ad alto contenuto politico. Fin che si scherza coi fanti-rav le cose possono anche sembrare accettabili, quando non si lasciano stare i santi-costituenti le cose si complicano maledettamente e le battaglie identitarie diventano dei veri e propri boomerang.

All’interno della maggioranza di governo si stanno aprendo grosse crepe. È pur vero che la destra è capace di assorbire queste divisioni tramite il collante del potere e del consenso populista, ma non sarà così facile. Silvio Berlusconi da una parte fa il burattinaio di Tajani, che svolge in modo ridicolo il ruolo di vice-premier, dall’altra prova a “marionettizzare” un Carlo Nordio che vuole giocare in proprio un’antica battaglia. Matteo Salvini da una parte si accontenta di mettere in campo Piantedosi e Calderoli per piantare qualche bandierina leghista, dall’altra si candida ad una durissima riscossa nella gara alla palma di vero populista.

Ne vedremo delle belle. Probabilmente è meglio lasciarli litigare in cortile che giocare in Parlamento. Anche se Carlo Nordio nella sua area governativa non credo si accontenti del poco che sta dicendo, ma abbia in testa qualcosa che sta nascondendo. Calderoli nella sua materia alla fine farà non tanto quel che gli ordinerà Salvini, ma quanto deciderà Luca Zaia.