Ma Bergoglio non dorme da piedi

La morte del papa emerito Joseph Ratzinger ha colpito i cattolici costringendoli ad una inopinata passerella, giustamente esorcizzata dall’interessato che ha raccomandato massima semplicità per il suo post-mortem e prontamente praticata, più o meno seriamente, da tutti i media compresi quelli di ispirazione e di provenienza cattolica. È partita una sarabanda, che non fa bene al ricordo obiettivo ed educativo di questo papa, che distoglie la Chiesa in tutte le sue componenti da una proficua elaborazione del lutto, che devia il discorso da un’analisi puntuale e scrupolosa del papato ratzingeriano verso una esaltazione acritica e superficiale, che rischia di sollevare un polverone pazzesco nascondendo farisaicamente i mali della Chiesa sotto il tappeto del trionfalismo.

Non è bastato il testamento spirituale di Benedetto XVI con il suo contenuto essenziale e provvidenziale ad evitare questa fastidiosa e negativa bagarre celebrativa. Questo è il mondo, anche se la Chiesa dovrebbe essere attenta ad escludere questi pericolosi bagni di protagonismo poco evangelico e molto pagano.

È indubbio che la morte di Ratzinger possa sconvolgere non tanto gli equilibri dottrinari saldamente ancorati al Vangelo da papa Francesco, non tanto gli assetti comunitari una volta smaltita la sbornia funeraria, ma quelli di “governo” della Chiesa istituzione. Benedetto XVI ha due grandi meriti: avere ricondotto, con le sue dimissioni, il papato ad una funzione di servizio togliendolo da una secolare aura di infallibilità regale e, successivamente, avere stoppato i rigurgiti, più reazionari che conservatori e tradizionalisti, di una gerarchia in buona parte inquieta e timorosa di prendere il raffreddore davanti alle finestre spalancate da papa Francesco.

Come qualche acuto commentatore ha già ipotizzato, è saltato il tappo, anzi potrebbe essere partito il brindisi alla restaurazione, che non troverà più la barriera protettiva alzata silenziosamente, correttamente ed autorevolmente da Joseph Ratzinger. Forse siamo già entrati in clima di conclave, anche perché la morte di Ratzinger è accompagnata dagli scricchiolii della salute fisica di papa Francesco. Si stanno riaprendo i giochi per chi vorrebbe tornare indietro nonostante gli inviti del papa regnante a non confondere la difesa della tradizione con il mero ritorno al passato.

Se i reazionari sono in fermento, credo che anche papa Francesco stia pensando alla sua successione preparandola a modo suo, allargando il parterre cardinalizio e piazzando cardinali in linea con il suo indirizzo pastorale in punti chiave a livello istituzionale e comunitario. Arrivo persino a sparare due nomi che vanno per la maggiore: il “fanciullesco” Luis Antonio Gokim Tagle e lo “svangatore” Matteo Maria Zuppi (chiedo scusa per queste paradossali e bonarie definizioni, che vogliono solo rendere simpaticamente l’idea).

Il primo è arcivescovo di Manila dal 2011, presidente di Caritas Internationalis e della Federazione biblica cattolica, è un teologo di fama internazionale e come tale ha pubblicato parecchi libri. Come non vedere in lui il pedigree in ordine dal punto di vista della sensibilità sociale, del forte aggancio al messaggio evangelico – e fin qui siamo perfettamente nel solco francescano -, ma ci sarebbe anche la copertura della lacuna bergogliana, maliziosamente individuata nella teologia, nonché un l’ulteriore passo avanti verso l’est del mondo a livello di geopolitica vaticana.

Il secondo è arcivescovo di Bologna e presidente della Conferenza Episcopale Italiana: un uomo di Bergoglio, oltretutto un italiano che potrebbe ingolosire i nazionalisti nostrani condendo con l’italianità una forte connotazione progressista ed innovativa.

Fin qui le manovre e contro manovre vaticane. Se Bergoglio ha in mano delle carte molto interessanti, non altrettanto i suoi avversari annidati certamente nella curia romana, ma anche negli Usa e in quel tessuto clericale che vuole riconquistare spazio e potere. Essendosi spento il semaforo ratzingeriano, il traffico vaticano potrebbe impazzire (ci sarà del lavoro per il vigile Spirito Santo).

E il popolo di Dio? Relegato a tifare per le squadre occultamente in campo o in cerca di protagonismo più o meno sinodale? Ma questo è un altro discorso, su cui mi riservo di andare con calma e col mio solito spirito critico.