Il ribollente pentolone della curia vaticana

L’ennesima riapertura del caso di Emanuela Orlandi, questa volta disposta dalle autorità vaticane, riporta d’attualità un pentolone maleodorante in cui c’è dentro di tutto e di più. Le ipotesi su questa vicenda si sprecano e si intrecciano, dalla pedofilia ai servizi segreti, dalla geopolitica ai loschi affari del Vaticano, dalla malavita più o meno organizzata ai ricatti reciproci etc. etc.

Per me, che sto curiosando a livello mediatico su queste vicende, è l’occasione per tornare criticamente sulla realtà della gerarchia vaticana e sui suoi comportamenti oscillanti fra lo scandalo e l’omertà. Parto da quanto don Andrea Gallo raccontava, con la sua ineguagliabile verve, vale a dire una barzelletta sferzante: «Voi sapete che nella nostra Santa Madre Chiesa, uno dei dogmi più importanti è la Santissima Trinità: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. L’amore e la comunione vanno in tutto il mondo, e si espandono. Lo Spirito Santo dice: “Andiamo a farci un giro. Io sono affascinato dall’Africa”.  Il Padre risponde: “Be’, io andrò a vedere il paradiso delle Seychelles. Perché non capisco come mai i miei figli e figlie hanno il paradiso in terra”. Gesù ascolta e non risponde. Allora gli altri due: “Tu non vai?” Gesù: “Io ci son già stato duemila anni fa”. “Non ci farai mica far la figura che noi andiamo e tu rimani”, gli dicono in coro il Padre e lo Spirito Santo. “Va be’, allora vado anch’io”. “Dove vai?” “A Roma”. “Sì, ma a Roma dove vai?” “Vado in Vaticano”. “In Vaticano?”, dicono increduli il Padre e lo Spirito Santo. Gesù risponde: “Eh sì, non ci sono mai stato”».

Non voglio “papizzare” un discorso che riguarda tutte le alte sfere del Vaticano e, in un certo senso, tutta la gerarchia e tutti i componenti del popolo di Dio. Ognuno ha le sue responsabilità nell’agire, nel parlare e nel tacere. Tuttavia è forte la tentazione di leggere la storia della Chiesa attraverso i pontefici nei loro rapporti col potere vaticano, anche perché è la Chiesa stessa, che sciorina in continuazione questa visione “papacentrica”: l’eccessiva, fuorviante e strumentale risonanza data alla morte e alla vita di Joseph Ratzinger, da cui esce una sorta di antipapa da santificare alla faccia di papa Francesco, non è che l’ultima manifestazione di questa impostazione assai poco evangelica, conciliare e sinodale.

Forse anche Bergoglio, negli anni vissuti da pontefice e nei precedenti vissuti da vescovo e cardinale, avrà accumulato responsabilità non indifferenti. Questo non significa che debba togliere il disturbo. Con questo criterio la Chiesa non sarebbe mai partita: gli undici non erano forse dei vigliacchetti qualsiasi e Pietro non era un voltagabbana? Seppero redimersi, convertirsi e purificarsi a caro prezzo. Credo che papa Francesco stia cercando di farlo. Rispettiamo il suo travaglio interiore e il suo coraggioso tentativo di voltare pagina (è la base sostanziale della sua nomina a pontefice). Teniamocelo stretto! Spero che, avvicinandosi, per motivi di incipiente ed ulteriore anzianità, la fine del suo pontificato, egli si liberi dai lacci e dai lacciuoli, che possono ancora tenerlo legato ad una certa qual ragion di Chiesa.

Dei suoi predecessori ho una mia originale, anche se assai sbrigativa ed impietosa, idea riguardo al loro atteggiamento verso la Curia e gli intrighi vaticani. Pio XII era parte integrante della Curia, proveniva direttamente da essa e fu autentico interprete dei suoi desiderata, tenendo ben sigillata la cassaforte da cui non emerse alcun significativo contrasto.

Giovanni XXIII fu nominato come papa di breve transizione, ostaggio delle mire curiali, un pontefice da manovrare: si sbagliarono di grosso, perché seppe adottare decisioni in netta controtendenza, coniugando in modo geniale la bonarietà con il coraggio, l’essenzialità della fede con la necessità di tradurla in scelte di epocale innovazione.

Paolo VI soffriva, si macerava e poi si arrendeva all’impossibilità del cambiamento; lui, che aveva esperienza curiale, ma che dalla Curia era stato allontanato per andare a reggere la diocesi di Milano, non seppe prendere il toro per le corna e lasciò bollire la pentola forse dal timore che potesse esplodere.

Giovanni Paolo I somatizzò il dramma al punto da morirne in pochi giorni; mia sorella aveva una sua paradossale e intrigante versione della morte di papa Luciani. Diceva: “Gli hanno fatto conoscere Paul Marcinkus e gli è dato un colpo…”. Per rimanere alla sporcizia vaticana presumibilmente connessa alla vicenda Orlandi mia sorella si chiedeva: “A prescindere dal fatto dell’esistenza di legami col rapimento della ragazzina di cittadinanza vaticana, che cosa ci stavano a fare le spoglie di Enrico De Pedis, un mafioso italiano, boss dell’organizzazione mafiosa romana banda della Magliana, nella sontuosa tomba della basilica romana di Sant’Apollinare?”.

Giovanni Paolo II volò alto (fin troppo rischiando di fare la fine di Icaro), se ne fregò altamente, andò per la sua strada, si illuse di cavare anche un po’ di sangue dalle rape (mi riferisco ai fondi dello Ior destinati a Solidarnosc); alla curia pose il sigillo ratzingeriano e ritenne così di bloccare in senso minimalista le “sporcaccionate” incipienti.

Benedetto XVI, che le sporcaccionate le aveva viste e denunciate, seppur genericamente, nella curia e in tutta la Chiesa, ci rimase dentro alla grande e gettò opportunamente la spugna. Si rifugiò nell’alta teologia e probabilmente capì di avere sbagliato mestiere: rischiava di fare la parte del medico pietosamente accademico che fa la piaga inesorabilmente puzzolente.

Arriviamo così alla ventata di aria fresca portata da papa Francesco. Ha avuto il coraggio di aprire la finestra, smettendola di pensare che bastasse respirare con l’ossigeno delle bombole tradizionali, curiali, gerarchiche e clericali. L’aria bergogliana è stata e sarà sufficiente per cambiare le strutture e le mentalità, combattendo, a mani nude evangeliche, la conservazione ed i suoi addentellati di potere e di intrigo? Uso al riguardo un piccolo episodio del suo pontificato. Ad una ragazza madre, che si è rivolta a lui col timore che non le battezzassero il figlio per mancanza dei presupposti canonici, rispose candidamente che, se ciò fosse malauguratamente successo, quel battesimo lo avrebbe somministrato lui stesso. Stupenda ed eloquente risposta! Però… avrei preferito che le avesse detto: “Fammi sapere e sappi che io interverrò su chi osa negare questo dono ad un figlio di Dio e sul sistema equivoco di autoritarismo dottrinale che si cela dietro certo perbenismo clericale…”. Cosa voglio dire?

Saprà papa Francesco innovare a costo di sbaraccare il sistema di potere che vacilla ma resiste? La riapertura dei casi di Emanuela Orlandi e di Mirella Gregori potrà essere un’occasione propizia per aprire dossier e armadi inquietanti o sarà la ulteriore conferma che da certe operazioni di pulizia si rischia di non uscire vivi e allora…meglio lasciar perdere… In effetti Gesù ebbe il coraggio di andarci fino in fondo e non ne uscì vivo, andò in croce e però ci insegnò che per cambiare le cose bisogna essere pronti a fare altrettanto.

Quando constato come tanti papi siano diventati o stiano diventando Santi, mi viene qualche dubbio. Pur con tutto il rispetto, temo che nell’aldilà troveremo parecchie novità, riguardo alla nostra vita e a quella della Chiesa.

A queste mie povere, ma sincere, provocazioni il caro ed indimenticabile amico don Domenico Magri rispose ricordandomi che Tertulliano, già nel IV secolo, aveva definito la Chiesa: “casta meretrix”: mica male! Comunque, aggiunse, noi osiamo amarla lo stesso!