Il funerale in piazza, in teatro, in salotto, ma non in…Chiesa

Fino all’ultimo viaggio: una situazione senza precedenti ha contraddistinto la vita, e ora la morte, di Joseph Ratzinger. Primo pontefice dimissionario in 600 anni e il primo papa il cui funerale, solenne ma sobrio per sua espressa volontà, sarà celebrato da un altro Papa in carica. Secondo il vaticanista spagnolo e direttore del portale Religión Digital, José Manuel Vidal, “Benedetto XVI dava molta importanza ai riti, alla liturgia, ai paramenti. Con lui abbiamo visto – spiega Vidal – paramenti che nessun Papa aveva mai usato nei tempi moderni. Curava molto la liturgia. E così ha chiesto che il suo funerale fosse solenne, ma sobrio. In linea con la sua personalità” (da euronews).

Mi spiace, ma devo ammettere di avere un concetto di liturgia molto lontano da quello ratzingeriano e da quello prevalentemente messo in pratica. Il dato emergente dalle celebrazioni è quello della “ritualità ingessata”. Assistiamo in televisione ai riti celebrati in Vaticano, in S. Pietro a Roma, e ne cogliamo la pesante spettacolarizzazione, abbiamo la sensazione di assistere ad assurde messe in scena (a quando, papa Francesco, una ventata di aria fresca anche in questo campo? A quando il licenziamento degli insopportabili ed impettiti maestri di cerimonie, protagonisti pedanti ed irremovibili delle celebrazioni eucaristiche?). Poi entriamo in certe chiese periferiche e torniamo a terra, per constatare la routinaria pochezza di liturgie sbrigativamente ed anonimamente finalizzate solo al tagliando di adempimento del precetto festivo. Da una estremità all’altra: dalla vuota enfasi rituale alla banalizzazione precettistica.

Il funerale di Benedetto XVI ha sofferto della paradossale contraddizione tra sobrietà e solennità. Significativa al riguardo l’assurda combinazione tra il rosario che veniva recitato e le immagini della coreografica sistemazione delle autorità civili, dei cardinali, dei vescovi, dei preti, delle suore e del popolo di Dio inevitabilmente collocato nel loggione di piazza San Pietro e relegato al ruolo di urlante sbandieratore del “santo subito”.

I politici chiacchieravano fra di loro (cosa si saranno detti Dio solo lo sa…), tutti gli altri erano protagonisti o comparse di una rappresentazione teatrale. Dove fosse la sobrietà in questo ricercato cerimoniale “zeffirelliano” e dove fosse la solennità in questa passerella “felliniana” è tutto da scoprire.

Papa Bergoglio sembrava, come avviene peraltro sempre durante i riti che presiede, un pesce fuor d’acqua, lui che ha rifiutato fin dall’inizio del suo pontificato i segni dell’onore e della regalità in linea col “Patto” firmato da alcuni Padri Conciliari nelle catacombe di Domitilla durante il Concilio Vaticano II: «Noi vescovi rinunziamo per sempre all’apparenza e alla realtà della ricchezza, specialmente nelle vesti (stoffe di pregio, colori vistosi) e nelle insegne di metalli preziosi (questi segni devono essere effettivamente evangelici) … Nel nostro modo di comportarci, nelle nostre relazioni sociali, eviteremo ciò che può provocarci privilegi, precedenze o anche di dare una qualsiasi preferenza ai ricchi e ai potenti (per esempio: banchetti offerti o accettati, “classi” nei servizi religiosi ecc.)».

Ho fatto molta fatica a partecipare in preghiera, mi sentivo spettatore di una rappresentazione teatrale minuziosamente preparata e disciplinatamente interpretata, dove la Parola di Dio non era il centro ma il pretesto, dove l’Eucaristia non era la sostanza ma la forma, dove le spoglie mortali di Joseph Ratzinger contenute in una sobria bara (l’unico elemento di semplicità in tanta sofisticata liturgia) erano un segno di contraddizione non tanto tra la vita e la morte, ma tra il Vangelo e la sua parodia. Non è mancato nemmeno il contorno salottiero di commenti più o meno appropriati, ma comunque fuori luogo (come avviene in teatro durante uno spettacolo).

Quando si assiste alle esequie di certi personaggi tenute in sale teatrali mi prende un senso di grande tristezza: la vita e la morte considerate uno spettacolo? Se è penoso laicamente parlando, figuriamoci dal punto di vista cristiano. Ebbene, la tentazione finisce con l’averla vinta, almeno così appare.

Le esequie del papa emerito sono sembrate, suo malgrado, una sorta di rivalsa della pomposa e solida tradizione sulla stentata e fragile innovazione, l’incrocio pericoloso fra un passato invadente ed un futuro incerto e indiscreto.   A fare l’impossibile sintesi il brano evangelico del buon ladrone: Gesù che ha perdonato lui, saprà sicuramente perdonare le contraddizioni dei papi, dei vescovi, della Chiesa tutta, che si crede santa, ma che invece è casta meretrice con tutto il rispetto per le meretrici e per tutte le persone caste.

In mezzo a tanta pomposa celebrazione era difficile pregare per e con Joseph Ratzinger: ho tentato di farlo nonostante tutto. Lo faccio con le appropriate parole di papa Francesco che hanno concluso la sua omelia (l’ancora di salvataggio nello stucchevole ed agitato mare liturgico): «Benedetto, fedele amico dello Sposo, che la tua gioia sia perfetta nell’udire definitivamente e per sempre la sua voce!».