Il corridoio dei valori perduti

Dopo essere stato un antesignano esperienziale del partito democratico, dopo averne salutato con una certa fiducia la nascita, dopo averlo votato in parecchie consultazioni elettorali, ho cominciato a coglierne le grosse contraddizioni e i pericolosi e scivolosi equivoci, che mi hanno via via portato a non votarlo più e a criticarlo aspramente. Sono tutt’ora estremamente critico nei confronti di questo partito e piuttosto scettico sulle sue prospettive.

Di qui a scaricare sul PD ogni e qualsiasi colpa riguardante la penosa situazione politica che stiamo vivendo ci passa una certa differenza. Non c’è fonte mediatica che non giochi a sparare sul pianista piddino reo di tutte le peggiori suonate che si ascoltano in Italia, in Europa e nel mondo intero. Tutti si esercitano nella ricerca degli errori e delle lacune di questa forza politica: questa è la vox mediatica che si trasforma in vox populi (almeno stando ai sondaggi) e addirittura in vox dei (una delle accuse è infatti quella di tradimento: un Giuda che ha venduto la sinistra per qualche moneta d’argento).

Un partito alla deriva, che ha perso l’identità, che ha dimenticato la propria storia, che ha perso i collegamenti sociali, che ha buttato il bambino dei valori assieme all’acqua sporca delle ideologie. Questo lo spietato, insistente e inconcludente referto mediatico. Questa impietosa diagnosi finisce oltre tutto per assolvere in tutto e per tutto le forze politiche attualmente dominanti.

Tutto però si ferma in superficie, nessuno osa contestualizzare ed approfondire i discorsi. Gino Bartali diceva: «L’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare!». Sono diventati tutti bartaliani… È vero che i nodi non stanno venendo al pettine, che il congresso del PD sta girando intorno ai veri problemi per rifugiarsi nel riciclaggio leaderistico, che i candidati alla segreteria fanno molta fatica a cogliere le esigenze di rinnovamento, ma una questione fondamentale è stata tuttavia posta dai cattolici democratici, dagli ex-democristiani di sinistra, dai popolari appartenenti alla cultura cristiana, vale a dire la necessità di un ritorno alla virtuosa combinazione da cui è partito il PD, la fusione calda fra cultura comunista e cultura cattolica.

Questa spinta iniziale si è affievolita fino ad esaurirsi, sostituita dall’egemonia castale dei post-comunisti, portando il partito ad una doroteizzazione crescente e fuorviante, ad una pigra subalternità al pensiero liberista, ad un leaderismo forzoso e sbrigativo, ad una vocazione maggioritaria nel quadro di un bipartitismo di importazione, ad un nuovismo equivoco e smemorato, ad una forza politica radical-chic, ad un rifugio nella pur sacrosanta difesa dei diritti civili a scapito di quelli sociali, ad un salotto perbenista di pochi a scapito della “disperazione” di molti.

La funzione storica dei cattolici-democratici non è stata riconosciuta: De Gasperi, Moro, Dossetti, La Pira, Don Milani sono stati messi in soffitta. Le due culture di partenza non si sono confrontate, ma sono servite quasi esclusivamente a pesare la spartizione del potere. Il fermento cattolico è stato bellamente dribblato. Si è fatto finta di non sapere che la dottrina sociale della Chiesa è alla base della Costituzione, che certi valori come l’atlantismo critico e la difesa del diritto al lavoro fanno parte di un patrimonio proveniente dalla cultura cattolica, che la crisi politica è crisi di classi dirigenti ma anche crisi di popolo conseguente alla fine dei partiti veramente popolari (Pci e Dc).

Mi sia consentita una lapidaria e provocatoria constatazione: Giuseppe Conte sta scoprendo l’acqua calda e la sta usando per lavare i panni sporchi del suo populismo. Cosa direbbero Giuseppe Dossetti e don Lorenzo Milani del reddito di cittadinanza e dell’invio di armi all’Ucraina? Il Pd non ha bisogno di alleanze tattiche, ma di riappropriazione del suo patrimonio ideale. Vale anche per il liberismo e/o il liberalismo di Calenda e Renzi: basta rileggere la dottrina sociale della Chiesa. Vadano a quel paese quanti continuano a ridurre la politica di sinistra ad un matrimonio di convenienza elettorale con una giovincella che la sa troppo lunga e/o una tardona che vuol fare la saputella.

Ebbene questo fronte critico cattolico-democratico è stato completamente ignorato dai media: discorso troppo difficile e di scarsa audience, analisi imbarazzante per tutti, soprattutto per i salotti televisivi inchiodati nelle loro schematiche kermesse, prospettiva troppo impegnativa per essere cavalcata e fotografata nei sondaggi di opinione.

Solo Lucia Annunziata nella sua domenicale mezz’ora ha dato voce a questo discorso ed infatti le argomentazioni di cui sopra provengono in gran parte proprio da un interessante dibattito tra Rosy Bindi, Mario Tronti e Claudio Petruccioli.

Mario Tronti è un filosofo e politico italiano, considerato uno dei principali fondatori ed esponenti del marxismo operaista teorico degli anni sessanta. Militante del Partito Comunista Italiano durante gli anni cinquanta, si allontanò dal Pci, pur senza mai uscirne formalmente, ed animò l’esperienza radicale dell’operaismo. Tale esperienza, che va considerata per molti versi la matrice della nuova sinistra degli anni sessanta, si caratterizzava per il fatto di mettere in discussione le tradizionali organizzazioni del movimento operaio (partito e sindacato) e di collegarsi direttamente, senza intermediazioni, alla classe in sé e alle lotte di fabbrica. Fu senatore della repubblica col Pds e col PD.

Rosy Bindi docente universitaria fino al 1989, era accanto a Vittorio Bachelet (del quale era assistente universitaria a Roma) nel momento del suo assassinio il 12 febbraio 1980 da parte delle Brigate Rosse. Lungamente impegnata nell’Azione Cattolica, fa la sua carriera politica nella Democrazia Cristiana, indi nel Partito Popolare Italiano e nell’Ulivo.

Claudio Petruccioli è un politico e giornalista italiano. Parlamentare di lungo corso (Pci, Ds, Pds e Ulivo) è stato anche da luglio 2005 a marzo 2009 presidente del consiglio d’amministrazione della RAI. Afferma: “Ha ragione Pierluigi Castagnetti, che viene dalla Dc: l’identità del partito è a rischio. Io, come credo Castagnetti, ho sostenuto il Pd perché doveva essere l’unione di diversi riformismi in passato divisi e in conflitto tra loro”.

Per rendere l’idea dico che con Rosy Bindi, Mario Tronti e Claudio Petruccioli andrei anche in capo al mondo della sinistra (almeno ci proverei, soprattutto con i primi due), mentre con Stefano Bonaccini (nuovo leader PD in pectore) al massimo potrei bere un caffè amaro.

Qualche timido accenno di attenzione alle rivendicazioni storico-culturali dei cattolici è provenuto dagli altri candidati alla segreteria: da Gianni Cuperlo (culturalmente onesto ed ammirevole, ma politicamente fragile), da Paola De Micheli (troppo opportunisticamente abile per essere credibile), da Elly Schlein (che rischia la parte di tuttologa rivoluzionaria della ditta).

Continuo a sperare che le acque piddine possano essere mosse dai cattolici democratici alla cui scuola e testimonianza sono politicamente vissuto. Se non saranno rose spinose di partito siano almeno rose profumate di un movimento di opinione che scuota le coscienze e che abbia il coraggio tortoriano di dire, dopo la falsa partenza del 2007, a distanza di oltre quindici anni: “Dove eravamo rimasti? Alla carta dei valori di Pietro Scoppola e Alfredo Reichlin!?”.