Un papa sindacalista, un sindacato papista

I contenuti dell’incontro del sindacato della CGIL con papa Francesco, anticipato peraltro da una interessante intervista rilasciata dal segretario Maurizio Landini al quotidiano Avvenire, accendono una fiammella di speranza nel panorama politico italiano.

Alcuni si sono chiesti se il sindacato non stia rinunciando alla propria laica funzione di rappresentanza del mondo del lavoro per conquistare strumentalmente la simpatia del papa, diventando una sua agenzia ed entrando a pieno titolo nella galassia cattolica. Il solito modo manicheo di porsi di fronte alla realtà.

Non credo che il sindacato corra alcun rischio del genere, ma abbia tutto da guadagnare nel confronto con il papa così sensibile ai problemi del lavoro e della giustizia sociale. È emerso infatti un idem sentire a mio giudizio molto importante ed incoraggiante. A voler proprio sottilizzare (?) forse la CGIL di Maurizio Landini sta rubando il ruolo al PD, che non riesce a trovare una dimensione politica fattiva sulle problematiche del lavoro e una ispirazione culturale e valoriale fondamentale nelle linee del cattolicesimo democratico, così come avrebbe dovuto avvenire proprio con la costituzione e la vita di questo partito. Forse proprio questa è una delle principali carenze che hanno portato il PD ad una grave crisi politica a cui si è aggiunta anche una crisi di carattere morale.

Maurizio Landini, da galantuomo qual è, riconosce l’utilità di collegarsi, pur nel rispetto della laicità del sindacato, al patrimonio ideale del cattolicesimo così come arricchito e rinverdito dal magistero di papa Francesco. Il papa giustamente non si fa alcun scrupolo di dialogare apertamente con i rappresentanti dei lavoratori: il suo imperativo evangelico è quello di spremere olio persino dalle rape mediatiche, figuriamoci dal sindacato, che dovrebbe essere interprete autentico di quel lavoro che “permette alle persone di essere se stesse e di migliorare il mondo. Il lavoro costruisce la società, è un’esperienza primaria di cittadinanza, che crea comunità”.  Il papa prende in considerazione e valorizza il contributo di chi opera per la giustizia. “Il sindacato, dice il papa, è chiamato ad essere voce di chi non ha voce. Voi dovete fare rumore per dare voce a chi non ha voce”, raccomandando in particolare “l’attenzione per i giovani, spesso costretti a contratti precari, inadeguati e schiavizzanti”.

Torno a Landini e alla CGIL non per curiosare su eventuali velleità, ma per cogliere certe opportunità sul piano culturale, sociale e politico. Se lo facesse anche il PD sarebbe una gran bella cosa! Ritrovare un sindacato che tenta di superare il corporativismo per elaborare una visione complessiva della società è un fatto incoraggiante e assai positivo. Non certo per tornare al collateralismo, ma per trovare le persone più in difficoltà ed avere a cuore i loro interessi sindacalmente rappresentati o almeno rappresentabili. La politica, quella della sinistra in modo tutto particolare, deve fare un passo indietro per tornare ai valori fondanti di una società democratica e solidale: il sindacato può e deve essere interlocutore privilegiato.

Non è un caso se una delle correnti della sinistra democristiana, quella peraltro a cui aderivo, vantava una matrice sindacal-aclista: il cattolicesimo progressista viene anche di lì e, leggendo integralmente la suddetta recentissima intervista di Maurizio Landini, ho rispolverato con una certa nostalgica soddisfazione le mie origini politiche. Come non ricordare Carlo Donat Cattin, il quale da ministro del lavoro, che aveva portato a compimento lo Statuto dei lavoratori, rispondeva alle critiche del mondo imprenditoriale per il suo approccio ai conflitti di lavoro, affermando di non essere il ministro delle imprese ma del lavoro o ancor meglio il ministro dei lavoratori e non del lavoro.

Maurizio Landini afferma tra l’altro: “Diciamo anzitutto che la produzione legislativa dei diversi governi negli ultimi decenni ha aumentato la precarietà nel lavoro e favorito una frantumazione dei diritti dei lavoratori. Aumentando la competizione tra le persone che per vivere hanno bisogno di lavorare. Occorre quindi ripristinare un principio di equità e di uguaglianza con un nuovo Statuto dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, che sancisca uguali diritti e tutele per tutti, a prescindere dal tipo di rapporto di lavoro: a tempo indeterminato o a termine, autonomo o a partita Iva. Questo penso sia il compito primario del sindacato e della politica: mettere al centro la persona ed evitare che chi per vivere deve lavorare debba accettare qualsiasi condizione. Dopodiché, anche le organizzazioni sindacali, a partire da quella che io rappresento, devono cambiare, essere sempre più in grado di rappresentare l’intero mondo del lavoro e le sue diverse forme. Per questo, però, è necessario anche un sostegno legislativo alla contrattazione collettiva, che cancelli i “contratti pirata” e dia valore generale ai contratti nazionali, sancisca così anche un salario minimo e gli altri diritti normativi. Penso alla malattia, gli infortuni, le ferie, il Tfr, solo per citarne alcuni, che debbono essere garantiti a tutti i lavoratori e le lavoratrici”.

I lavoratori si sentono vedovi inconsolabili della politica e del sindacato e si rivolgono un po’ al primo che passa, sperando di ottenere qualche attenzione. Sarebbe ora che, oltre a quella di papa Francesco, sentissero la voce del sindacato e della sinistra. È vero che il mondo è cambiato, che il welfare è andato in crisi, che il capitalismo ha i secoli contati, che il liberismo imperversa, ma i diritti di chi lavora e quelli di chi non trova lavoro devono avere rappresentanza credibile, altrimenti…