La terza fase di Gianni Cuperlo

Si doveva partire dalle idee. Quando un qualsiasi gruppo smarrisce la strada, per ritrovarla bisognerebbe cercare la mappa, usare la bussola, interrogarsi sul percorso adottato per capire quale possa essere quello da adottare, invece spesso, è anche il caso del partito democratico, si comincia a discutere su chi debba condurre il gruppo, verso quale metà non si sa.

Il PD di fronte ad una seria crisi culturale, etica e politica che lo ha investito, riparte dalla scelta del capo cui affidare la barca che sta facendo acqua da tutte le parti. La quarta candidatura in campo, quella di Gianni Cuperlo, spero non rientri in questo gioco pseudo-leaderistico, mi auguro anzi che lo possa scompigliare. Stando alla caratura culturale del soggetto, alle sue dichiarate prime intenzioni, al garbo metodologico e dialogico che lo contraddistingue, lascia sperare in un serio anche se difficile tentativo di riportare il discorso alle origini del partito per verificarne la tenuta valoriale, la storia passata e le prospettive future.

Qualcuno lo giudica un lupo che ha perso il pelo comunista, ma non il vizio egemonico. Se ci si mette su questa strada del processo alle intenzioni e dei ricordi imbarazzanti non se ne esce vivi. Se Cuperlo comunista è, mi pare lo sia nel senso di recuperare i valori e la cultura di un’esperienza politica che merita rispetto e considerazione, una cultura, che, pur in mezzo a errori e contraddizioni, ha contribuito fondamentalmente alla costruzione della Repubblica italiana. Forse con Cuperlo si ritorna alle scelte di fondo e a chiedersi se a sinistra ci sia spazio per un dialogo collaborativo e politico fra le due tradizioni culturali di peso, quella socialista (preferisco per chiarezza definirla comunista) e quella cattolica.

Era il dilemma moroteo, risolto in più fasi, quella del pur corretto e leale scontro ideologico, quella della piena democratizzazione dell’allora PCI tramite una problematica scommessa di collaborazione governativa e quella successiva (la terza fase) di competizione democratica fra due forze alternative, una di sinistra (il Pci sdoganato) e una di centro (la DC purificata). Purtroppo questa visione strategica è stata bruscamente interrotta dall’assassinio del suo ideatore: è stata sostituita dal craxismo che ha navigato tra democristiani e comunisti cogliendone soltanto le vocazioni al potere, centrale per la DC, periferico per il PCI. La politica è andata alla deriva tangentizia, è spuntato Berlusconi che ha costretto comunisti e cattolici progressisti a trovare obbligate vie d’intesa per contrastare un disegno di restaurazione che oserei definire fascista in chiave moderna e per certi versi persino “profetica” (intendo in senso negativo).

Con Cuperlo torniamo a questo punto? Riuscirà il PD a riprendere un proficuo dialogo a tutto campo tra le tradizioni comunista e cattolica progressista? Sono compatibili queste due culture o sono soltanto costrette ad accordarsi per fare argine alla destra non più e solo berlusconiana, ma meloniana, vale a dire sostanzialmente e, forse persino spregiudicatamente, reazionaria più che conservatrice. Sarà possibile riprendere il discorso laddove era stato interrotto dalla tragica morte di Aldo Moro, per aggiornarlo ai tempi nuovi (?) e rilanciarlo in termini più stringenti? Potrà ancora esistere il PD rispolverato, riveduto e corretto o dovremo rassegnarci all’ennesima e forse anti-storica scissione, dettata dall’esigenza di fare chiarezza sul piano culturale prima che politico? Meglio uniti nella confusione ideale o meglio divisi nella chiarezza ideologica? Ci potrebbe stare la terza via di Gianni Cuperlo!

Mi sembra che Cuperlo possa essere l’uomo giusto per tentare questa verifica a trecentosessanta gradi. Tra il continuismo castale di Stefano Bonaccini, il nuovismo velleitario anche se sincero di Elly Schlein, l’opportunismo minimalista e simpatico di Paola De Micheli, si insinua il purismo culturale perbenista di Gianni Cuperlo. Mi viene spontaneo concedere qualche chance a quest’ultimo, sperando che almeno possa contribuire a chiarire certe questioni che, lasciate a loro stesse, da culturali rischiano di diventare ideologiche e di radicalizzarsi in campo partitico più che politico. Poi magari si vedrà…