Il vedovo inconsolabile e i vedovi allegri

Tutta la mia militanza politica e partitica è stata caratterizzata da una convinta e costante ricerca del dialogo, a volte tutt’altro che facile, a volte aspro e serrato, ma sempre rivolto al servizio della popolazione in nome dei valori condivisi.

Durante le animate ed approfondite discussioni con carissimi amici (ricordo con particolare affetto l’amico Walter Torelli, comunista tutto d’un pezzo), uomini di rara coerenza etica e politica, agli inizi degli anni novanta si constatava come alla politica stesse sfuggendo l’anima, come se ne stessero andando i valori e rischiasse di rimanerci solo la “bottega” ed al cittadino non restasse che scegliere il “negozio” in cui acquistare il prodotto adatto alla propria “pancia”. Fummo facili profeti. In un sistema, dove i valori non contano un cazzo, i cittadini guardano il proprio tornaconto personale, le forze intermedie perseguono la propria sussistenza corporativa, trionfa la finta politica dei servitori obbedienti.

La vita individuale si fonda sulle motivazioni forti: si va dalla sfera etico-religiosa-culturale al piano dei sentimenti, dal campo professionale a quello dei rapporti con le altre persone. Lo stesso discorso vale, a mio avviso, per la società e la politica: le fondamenta devono stare in valori forti e condivisi. Quante volte con l’indimenticabile amico Walter Torelli ci siamo rammaricati per il lento inesorabile declino della politica in fuga dai valori, prevedendo lo scadimento nella inevitabile impostazione affaristica! Il segreto sta nella combinazione virtuosa dei due piani della costruzione: quello delle motivazioni comportamentali individuali e quello degli assetti societari. Se prevale il primo si rischia in negativo l’anarchia, in positivo (si fa per dire) lo stato etico. Se prevale il secondo si rischia in negativo la dittatura, in positivo (si fa per dire) il populismo.

Il tutto sta avvenendo dietro il paravento della caduta delle ideologie.  Nel 1992, il politologo statunitense Francis Fukuyama elaborò la teoria della fine delle ideologie nel suo bestseller “La fine della storia e l’ultimo uomo”. Nel libro, la storia dell’umanità è descritta come un unico processo di evoluzione e progresso che termina alla fine del XX secolo con il raggiungimento della “società ideale”, fondata sull’ordinamento liberaldemocratico, sulla globalizzazione e appunto la fine di ogni ideologia, considerata un retaggio del passato.

Sono due le definizioni dell’ideologia: il complesso delle idee e delle mentalità proprie di una società o di un gruppo sociale in un determinato periodo storico; il sistema concettuale e interpretativo che costituisce la base politica di un movimento, di un partito o di uno Stato. Nel teorizzare e praticare la loro fine si intendeva far uscire la politica da rigidi schemi che impedivano il dialogo e la collaborazione tra le diverse forze politiche imprigionandole in gabbie teoriche che le allontanavano dalla realtà. Senonché il “liberi tutti” ha costituito anche la fine dei valori e delle idealità e la retrocessione della politica a puro pragmatismo più o meno bottegaio.

Insieme all’acqua sporca dei massimalismi e degli integralismi abbiamo buttato via il bambino delle idee e dei valori democratici ed antifascisti, abbiamo perso i riferimenti di fondo e rischiamo di vagare nel buio laddove le luci fatue del populismo e del sovranismo sembrano le uniche bussole rimaste a disposizione. A destra ci si “autosdogana” dall’ingombrante e imbarazzante passato, a sinistra si pecca di benaltrismo, rincorrendo confuse e stucchevoli pseudo strategie di nuovismo e “transpoliticismo”.

Riguardando in questi giorni un bel filmato sull’evento storico della barricate antifasciste parmensi del 1922, una ribellione di popolo verso l’incalzante avvento del regime fascista, mi sono chiesto come è possibile che la storia diventi un esercizio retorico e l’antifascismo un optional da riporre in un angolo per correre dietro al primo che passa senza più badare al patrimonio ideale e valoriale difeso con le unghie e coi denti, senza capire che il fascismo non è una triste parentesi, ma un camaleontico modo di intendere gli assetti sociali e politici.

Ecco perché non comprendo la faciloneria con cui gli italiani, parmigiani compresi, sono saliti sul carro della destra per provare a fare un giro e vedere di nascosto l’effetto che fa. Il ragionamento perfidamente leggero è il seguente: se in politica una bottega vale l’altra, tanto vale provarne una purchessia, non si sa mai che offra qualche interessante opportunità. E le idee? E i valori? Roba da idealisti incalliti e anacronistici come il sottoscritto, inconsolabile vedovo della politica con la “p” maiuscola.