C’è chi confonde il vino con l’aceto

Quando nel 2014 Giorgia Meloni alla domanda “Ma come blocchi gli sbarchi? Li fai affogare?” rispondeva “Si esattamente”. Riemerge in rete lo scontro a Ballarò su Rai 3 tra l’allora presidente di Fratelli d’Italia, oggi Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni e il sottosegretario alle politiche Europee del governo Renzi, Sandro Gozi. Meloni sosteneva che bisognava bloccare l’accoglienza fino a quando non si fosse sconfitta l’Isis. E poi incalzata da Gozi, che chiedeva “Ma come li fermi? Li fai affogare tutti? Li vuoi morti nel mediterraneo?”, Meloni rispondeva in un botta e risposta brutale e poco comprensibile: “Si, esattamente”.

Al di là di queste parole, che voglio immaginare dal sen fuggite, che conta è l’episodio nel suo complesso, questo breve spezzone televisivo: semplicemente agghiacciante forse grottesco (provare a rivederlo per credere).  E le parole non sono niente, è il tono che stupisce ancor di più: aggressivo, prepotente, sgarbato, oserei dire violento. Contro chi? Contro dei poveri disgraziati che rischiano fame, torture e morte.

Alcuni mi diranno che acqua passata non macina più, che Giorgia Meloni è cambiata. Purtroppo quella non era acqua, ma vino, di quello balordissimo e come noto il vino buono invecchiando migliora, mentre il vino cattivo diventa aceto.

A proposito di vino, voglio chiamare in causa mio padre ed il suo peccato di presunzione: «Bizoggna ésor bón ‘d bévor». Intendeva vantare la capacità di scegliere la giusta quantità, ma anche la migliore qualità. Se sul primo punto ho sempre avevo qualche perplessità, sul secondo non avevo dubbi. Mi capitò di assistere ad una scena clamorosa al riguardo. Durante l’intervallo di una partita di calcio, andammo insieme a bere presso la precaria mescita che veniva aperta nel dietro della “tribunetta” dei distinti, gestita da un amico. Mio padre si fece servire un bicchiere di vino bianco. Ne bevve un sorso e lo sputò clamorosamente dicendo: «Mo co’ m’ ät dè?». Io ebbi il timore che si potesse scatenare uno spiacevole alterco. Invece, senza fare una piega, il barista chiese delicatamente: «Mora, net piäzol miga col vén chi, ‘spéta…a t’nin dagh un bicér ‘d n’ätor…». Mio padre lo assaggiò e disse: «Cosst al ne va miga mäl» e lo bevve tranquillamente. Tornando sugli spalti gli chiesi: «Papà era veramente così balordo?». Mi rispose: «L’era balórd cme l’alsía e mi dal vén balórd  nin voj miga, an bév miga tant par bévor …».

Ho la netta impressione che gli italiani abbiano accettato per buono, e stiano iniziando a berlo come tale, il vino Meloni: se ne accorgeranno presto dell’errore e allora succederà quel che ipotizzava mio padre, il quale non era un patito del vino genuino e nostrano e non comprendeva parenti e amici che si cimentavano nella “mostatura” casalinga (“al vén fat coj pè”, nel senso di fatto male), in quanto sosteneva che ognuno deve fare il proprio mestiere senza oltretutto correre il rischio “ ‘d bèvor par tutt l’an un vén ch’a  sa ‘d bòtta” e intendendo quindi dare assoluta priorità al palato rispetto alla tracciabilità del prodotto.

Quindi o avranno il coraggio di sputarlo facendo un’autocritica feroce oppure continueranno a berlo come se fosse buono, facendo come quel tale che si scottò la lingua e la bocca dopo aver detto a impressione che la minestra era fredda.

Ma c’è un altro aspetto che viene messo in discussione dall’episodio meloniano, da cui sono partito ed a cui rinvio chi avrà la pazienza di riviverlo a distanza di otto anni: il più x femminino da cui molti sono rimasti affascinati ed a cui continuano ad applaudire tanto per essere moderni. E la femminilità di Giorgia Meloni al governo del Paese sarebbe una novità valida in se stessa e come tale da accogliere ed applaudire acriticamente? Ma fatemi il piacere…se una donna al governo ha nel suo retroterra culturale l’idea di difendere gli interessi italiani fino al punto di lasciare morire affogati i migranti, allora meglio un uomo, perché da lui me lo posso anche aspettare, mentre da una donna no e poi no. Resto soffertamente spiazzato.

Ripeto, forse per la seconda o addirittura per la terza volta, quanto ha dichiarato Edith Bruck, scrittrice, poetessa e traduttrice, sopravvissuta alla shoah, scappata dall’Ungheria e rifugiatasi in Italia dove tuttora vive: “Meloni sarà premier, la prima premier donna in Italia. Questo non è un bene in sé. Anzi: spesso, nei posti di vertice, le donne diventano peggiori degli uomini: tendono a volerli superare, e fanno peggio di loro, sono ancora più spietate. Nei campi di concentramento, le kapò che ho incontrato erano peggiori degli uomini: inumane, cattive. Non è un fatto strutturale, naturalmente, ma di contesto. Non sono sicura che il Paese sia maturo abbastanza per lasciare che una donna ai posti di comando riesca a essere chi è davvero. Meloni è circondata da uomini di un certo tipo, lavora in una struttura di un certo tipo. È amata da chi le dice cose terribili come “hai le palle”, cioè: vali perché sei come un uomo”.

Ha ragione questa tosta scrittrice: “L’Italia non ha più una coscienza civile e quindi il voto ha premiato l’urlo più forte”. E aggiunge: “Non mi fido di Meloni: quando dice che vuole unirci, intende che tutti dovremo seguire lei”. Mi permetto di spararla grossa: se Giorgia Meloni volesse veramente difendere i miei interessi a costo di respingere brutalmente i migranti, rinuncerei molto volentieri non dico solo a votarla ma addirittura a curare i miei interessi. Tutto il mal non vien per nuocere, se la durezza meloniana mi porta per reazione ad una certa qual generosità. Non diteglielo, perché si potrebbe ulteriormente insuperbire.