Salvoni e Melonini

Nel dibattito politico viene posto il dubbio amletico sulle cazzate identitarie del governo: sono farina del sacco nostalgico di Giorgia Meloni o di quello barricadiero di Matteo Salvini? Si tratta del pesante tributo da pagare al rinascimento salviniano o del rispolveramento meloniano della propria routine ideologica?

Sono portato a pensare che Giorgia Meloni voglia presentarsi con un abito nuovo o almeno con un abbigliamento double face, “un po’ draghetta e un po’ ducetta” come ha ironicamente scritto Massimo Giannini, il direttore de “La Stampa”. Scelta obbligata per non farsi risucchiare, a livello italiano e ancor più europeo, in un pericolosissimo revival neofascista. Già prima delle elezioni si parlava di un corso accelerato frequentato da Giorgia Meloni alla scuola europea di Mario Draghi. O non ha imparato la lezione oppure tra il dire democratico e il fare governativo c’è di mezzo il mare di una scomoda ideologia.

Matteo Salvini, alle prese con la sua traballante leadership uscita malconcia dalla prova elettorale, ha l’assoluto bisogno di battere dei colpi identitari e, per renderli più accettabili in casa meloniana, ha fatto un miscuglio tra leghismo e neofascismo che presumo faccia inorridire Umberto Bossi (e non solo). Viene spontaneo ricordare il leader storico della Lega, perché fu proprio lui a mettere in crisi il primo governo berlusconi non accettando compromessi antistorici con la sdoganata destra finiana.

In parole povere Salvini starebbe sfilando dalle tasche dei competitor intragovernativi i tratti identitari con cui rifarsi il trucco alla faccia di una imbarazzata Giorgia Meloni, costretta a stare al gioco per continuare l’ascesa elettorale a costo di incidenti politici e diplomatici. Questo strano e pericoloso connubio ideologico non potrà però durare all’infinito. Il politologo e storico Giovanni Orsina sostiene che l’attuale maggioranza di destra abbia tempo diciotto mesi per il suo praticantato governativo, fino alla prossima verifica elettorale di carattere generale se non nazionale. Nel frattempo i praticanti, lungo l’accidentato percorso tra identità e pragmatismo, potrebbero però subire la tentazione del ritorno al comodo punto di partenza.

Da una parte le sirene salviniane verso cui il premier non ha avuto l’accortezza di premunirsi con la cera governativa, dall’altra parte l’impazienza degli esaminatori che intravedo all’opera in Europa e nelle università. Mi riferisco allo scetticismo dei partner europei (quelli che contano) e allo spontaneismo studentesco che cova sotto la cenere. Queste saranno le forche caudine sotto cui dovrà passare il governo.

Qualcuno ipotizza che anche le prossime elezioni regionali in Lombardia e Lazio potrebbero infilare non poche pulci nelle orecchie dell’elettorato di destra, costretto ad un ravvicinato bagno di realismo. L’eventuale scardinamento del sistema di potere leghista in Lombardia, tramite la candidatura della fuoruscita Letizia Moratti, condivisa dal centro-sinistra (ipotesi francamente molto problematica sul piano politico e identitario) o altra candidatura in alternativa alla destra, che possa incontrare i favori dell’imprevedibile elettorato lombardo, potrebbe mettere a dura prova la navigazione di Giorgia Meloni. A maggior ragione se il centro-sinistra riuscisse a vincere la gara elettorale laziale. Ormai purtroppo la politica si fa a colpi elettorali ben assestati.

In conclusione, l’idillio Meloni-Salvini non potrà durare in eterno e prima o poi bisognerà uscire dagli equivoci. Forse era meglio se, anziché esorcizzare drasticamente le velleità berlusconiane, Giorgia Meloni avesse tenuto aperto un filo di collaborazione con Forza Italia, una sponda in Europa e un calmiere di moderazione in Italia. Mattarella permettendo, valeva la pena rischiare un ministro della giustizia di stampo garantista a tutto tondo, piuttosto che consegnarsi mani e piedi ai ricatti leghisti. Fammi indovino che ti farò ricco. In entrambe le ipotesi a rimetterci sono gli italiani, i quali, peraltro, se la sono voluta.

A tale proposito voglio concludere alleggerendo il discorso e riportando una quasi-gag contenuta nel programma televisivo di Rai 3 “Rebus” di domenica 06 novembre 2022. Si tratta di una bella trasmissione culturale, che va in onda alla domenica pomeriggio, condotta da Giorgio Zanchini con ospite fisso Corrado Augias: i due dialogano brillantemente su temi interessanti con l’aiuto di esperti, scrittori, giornalisti, etc. Nella puntata succitata il tema era la povertà: affrontato con una bella analisi sociologica da una esperta di cui al momento mi sfugge il nome. Al termine della dissertazione, quando ormai stavano scorrendo i titoli di coda, Corrado Augias si è lasciato andare ad un lapidario commento: “Adesso abbiamo un governo che al riguardo ha cominciato bene e sono sicuro che farà ancor meglio in futuro…”. Giorgio Zanchini, stupito del quasi-fuori onda, ha chiesto: “É ironico?”. Al che Augias ha risposto laconicamente: “Veda lei…”. Sono scoppiato in una irrefrenabile ma amara risata: certe volte si ride per non piangere o per sfogare lo stress accumulato… Onore comunque al coraggio televisivo di Augias! Non ho idea se lo scambio fosse stato preparato, ma non credo ed è venuto veramente molto bene.