La migrazione non è un’opinione

Quando non si vuole risolvere un problema o lo si vuole rimuovere senza risolverlo, se ne prende un aspetto non decisivo e si costruisce su di esso addirittura un programma di governo. Il problema dell’immigrazione vive di improvvisazioni, su cui abbiamo formato un’opinione quanto meno superficiale e parziale se non addirittura fasulla. I migranti ci rubano il lavoro (mentre ne abbiamo bisogno per i mestieri che gli italiani non vogliono o non possono più esercitare), compromettono le nostre casse erariali (mentre è dimostrato che è molto più quel che versano in tasse e contributi di quel che ricevono in aiuti e soccorsi), vengono in Italia per delinquere e vivere di espedienti (mentre le loro malefatte sono perfettamente in media con le nostre), si lasciano irretire dal mondo degli scafisti pur di approdare al paese di bengodi (mentre sono dei disperati che per scappare da situazioni infernali rischiano la morte e che spesso noi sfruttiamo in modo vergognoso a livello lavorativo), si fanno salvare dalle ONG che poi li scaricano sul groppone degli Stati malcapitati (mentre le ONG andrebbero quanto meno rispettate se non ringraziate)  e via di questo passo.

A volte mi torna alla mente un gustoso episodio della mia vita scolastica. L’insegnante di tecnica commerciale, durante un’interrogazione, aveva proposto la soluzione di un problema fornendo una serie di dati su cui costruirla. Il mio brillante compagno di classe si applicò con impegno e diede una sua articolata e plausibile risposta. Senonché la professoressa non tardò a svelare l’equivoco: la soluzione presupponeva la conoscenza di un dato che non era disponibile. L’interrogato ci rimase male e, con una reazione a metà fra l’ingenuità e la faccia tosta, si mise sulla difensiva dicendo: “Sì, d’accordo, ma qualora avessi conosciuto quel dato…”. L’insegnante fu magnanima e non interpretò la cosa come una presa in giro e si limitò a riprendere l’allievo, evocandone ripetutamente il cognome con un tono di voce fra lo spazientito e l’ironico. Da quel giorno nella mia classe, quando si voleva sgattaiolare fuori del seminato e rispondere pero per pomo, si diceva: “Sì, ma qualora…”. Mi sembra che il governo italiano stia ipotizzando, in modo peraltro sgarbato, la soluzione europea del fenomeno migratorio e della ripartizione dei profughi senza tenere conto della globalità delle cifre, che la Francia (e non solo) ci mette sotto il naso. I governanti italiani però insistono e sostanzialmente ribattono: “Sì, ma qualora le cifre fossero solo quelle degli sbarchi in Italia…”.

Voglio tentare qualche riflessione, facendomi aiutare da quanto scrive opportunamente Maurizio Ambrosini sul quotidiano “Avvenire”, che citerò di seguito abbondantemente (in corsivo).

Occorre partire dalla realtà per analizzarla con senso di umanità e non distorcerla ripiegando sulla disumanità. Le vittime dell’immigrazione male accolta e mal gestita non sono gli italiani, ma gli immigrati. “Viviamo un tempo fosco in cui le persone in fuga diventano «armi di una guerra ibrida», ai confini della Polonia, «carico residuale» sulle coste italiane, «animali» nel linguaggio di Donald Trump. Si cercano e ottengono voti respingendo le persone, oppure deportandole da un’altra parte. Basti pensare al tentativo di Danimarca e Regno Unito di trasferire i richiedenti asilo in altri continenti”.

Il governo italiano, raccogliendo peraltro un indirizzo populista che da tempo “avvelena” la nostra pubblica opinione, parte dal presupposto che l’Italia sia isolata e costretta a fronteggiare a mani nude l’ondata di migranti più o meno clandestini che si riversa sulle sue coste. “Ma che cosa c’è di vero nell’idea dell’Italia «lasciata sola» a fronteggiare gli afflussi di profughi? Non molto, in verità, se si allarga lo sguardo dagli approdi via mare (e dalla parte minima di essi derivanti dai salvataggi in mare operati da Ong internazionali) all’accoglienza delle persone in cerca di protezione internazionale: quelle in definitiva che comportano oneri di ospitalità e presa in carico da parte degli Stati riceventi.

Secondo Eurostat, nel 2021, sono arrivate ai governi della Ue 537mila prime richieste di asilo, aumentate del 28% rispetto al 2020, anno della pandemia. E ad accoglierne di più è stata come sempre la Germania (148.000), seguita proprio dalla Francia (104.000), poi dalla Spagna (62.000). L’Italia si è collocata al quarto posto, con 45.000 richieste di asilo: meno della metà dei cugini transalpini. Se guardiamo al rapporto con la numerosità della popolazione, la Svezia (25 richiedenti asilo ogni 1.000 abitanti), l’Austria (15), o la stessa Francia (6), sono più ospitali dell’Italia (3,5), collocata sotto la media dell’Europa Occidentale.
Ci sono poi i cosiddetti “movimenti secondari” dei rifugiati che, arrivati sul territorio di uno Stato, si spostano in un altro e ripresentano una domanda di asilo: la Francia nel 2021 ne ha ricevuti 30.000, molti dei quali passati attraverso l’Italia. Il punto è che i profughi non arrivano solo dal mare, ma anche via terra, a piedi, in auto, con trasporti pubblici, oppure in aereo, come i venezuelani che sbarcano in Spagna. Gli sbarchi sono più drammatici e visibili, ma non prevalenti. È uno sguardo ristretto, disinformato o volutamente distorto, quello che vede soltanto i profughi che approdano sotto casa sua”
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Il metodo dovrebbe essere comunque quello della collaborazione e non quello dello scaricabarile vittimistico. “La pacchia è finita”. La pacchia di chi? di cosa? Finiamola con questi atteggiamenti da osteria. Vale anche e soprattutto nei rapporti con gli altri Stati europei, con la Francia in particolare. “Parigi ha poi accettato volontariamente la ricollocazione di 3.500 persone sbarcate in Italia: impegno appunto volontario, attuato con lentezza e presumibile riluttanza, ma pur sempre gesto di buona volontà. La provocazione italiana, che ha rivendicato come una vittoria l’accoglienza della Ocean Viking in un porto francese («L’aria è cambiata»: il ministro Salvini su facebook), ha scatenato la contro-provocazione francese: niente più accoglienza volontaria. Chiedere solidarietà ai vicini per storia e geografia e poi bastonarli o irriderli non è mai una buona mossa, così come far finta di non vedere le frontiere ermeticamente chiuse e la solidarietà sistematicamente negata dai vicini ideologici (i Paesi con governi nazional-sovranisti)”.

Sia ben chiaro che nessuno è senza peccato, che, come diceva il grande Sandro Pertini, l’Italia non è né prima né seconda a nessuno e che, come dice l’altrettanto grande presidente Sergio Mattarella, “la risposta alla sfida migratoria avrà successo soltanto se sorretta dai criteri di solidarietà all’interno dell’Unione”. “Dove la Francia si muove su un terreno discusso e discutibile è il controllo dei confini terrestri: qui la libera circolazione attraverso le frontiere interne della Ue è stata di fatto ristretta, sono state introdotte forme di profilazione razziale, sono stati perseguitati gli attivisti, è stata messa a repentaglio la vita dei profughi in transito per un principio di difesa dei confini non meno assolutizzato, e disumano, di quello che in Italia si è tornati a inalberare. Nessuno in Europa d’altronde ha la coscienza pulita, se si pensa alle discusse imprese di Frontex ai confini esterni, o agli accordi con Paesi di transito come Libia, Turchia, Marocco”.

Non serve improvvisare un fronte dei Paesi sfigati e scoperti (Italia, Malta, Cipro, Grecia) contro i Paesi ben allineati e coperti (Francia, Germania e c.) e tanto meno basarsi su un’asse ideologico con i Paesi sovranisti (Ungheria e c.) chiusi nei loro egoistici confini. Non serve ed è eticamente sbagliato fare dell’immigrazione materia di propaganda sfruttando lo smarrimento della gente di fronte alla gravità del problema, illudendo i cittadini che si respira meglio non facendo entrare i forestieri, non capendo che si sopravvive solo aprendo porte e finestre a costo di prendere qualche raffreddore. “Anche Ron DeSantis è diventato una celebrità trasportando sull’isola di Martha’s Vineyard 50 migranti senza documenti validi, perlopiù venezuelani, convinti di andare a Boston. Gli esseri umani bisognosi di protezione diventano strumento cinico e crudele di cattura del consenso politico. Vogliamo tenacemente sperare in un Occidente e in un’Europa migliori, di cui l’accoglienza ai profughi ucraini ha dato un esempio: non sia un’eccezione, ma un’anticipazione profetica di un mondo migliore e più umano”.

Un grazie di cuore a Maurizio Ambrosini, sociologo e accademico italiano, noto per i suoi studi sulle migrazioni, dal quale mi sono lasciato interpellare e guidare. Trasformo in conclusione l’incipit del suo ammirevole, onesto, documentato ed imparziale pezzo. “Italia e Francia si rinfacciano, dunque, accuse di disumanità e di irresponsabilità sul dossier sbarchi e rifugiati, offrendo un deprimente spettacolo di discordia e di contrapposizione in un momento in cui l’Europa dei diritti e dei valori universali dovrebbe essere più che mai unita”.