Il lievito cristiano e la pasta politica

Discutendo di politica nello sconforto totale, un mio carissimo amico chiede insistentemente se non tocchi ai cattolici toglierla dalla camera mortuaria in cui langue per trasferirla almeno in camera di rianimazione. Fuor di metafora questo mio acuto interlocutore auspica una forte presa di coscienza dei cattolici al fine di smuovere le coscienze e spingere all’impegno i credenti ispirati dai valori cristiani: una sorta di benefico bagno evangelico rigenerante per la politica italiana.

Non si tratta di integralismo cattolico (recuperato alla grande dal governo di destra presieduto da Giorgia Meloni, che non serve, ed è addirittura fuorviante e pericoloso), né di ripetere pedissequamente l’esperienza storica della Democrazia Cristiana (anche se, tutto sommato, se ne può sentire la nostalgia), ma di valorizzare al massimo la cultura e l’esperienza proveniente dal cattolicesimo nelle sue forme di impegno nel sociale per trasferirle in impegno politico. In fin dei conti nel secolo scorso non avvenne così per l’Azione cattolica che fornì risorse umane e sociali alla Democrazia cristiana, al sindacato, alle Acli? La cosiddetta prima repubblica visse di rendita sulla classe dirigente proveniente soprattutto dalla formazione cattolica e da quella comunista.

Da tempo si parla di ritorno alla politica dei cattolici, non in chiave meramente personale, ma con iniziative movimentiste a livello socio-culturale. Il cantiere sarebbe sempre pronto, ma gli operai non ci sono. I cattolici, quei pochi o tanti che restano, tendono a rimanere scrupolosamente in disparte, quasi per non farsi contaminare dai partiti, salvo permettere assurde cinghie di trasmissione in nome della difesa del potere clericale e prestarsi a strumentalizzazioni varie ed eventuali in nome della difesa dei principi etici.

Niente di tutto ciò! Ho seri dubbi che l’approccio alla storicizzazione dell’impegno cristiano possa avvenire tramite la creazione di nuove strutture politiche, ma il vuoto valoriale è tale che anche la noce cristiana può riempire il sacco, il lievito cattolico può far fermentare la pasta e… mai dire mai!

Paradossalmente interessante è la conclusione di una lettera inviata al quotidiano “Avvenire” da Alessandro Tessari filosofo, già parlamentare della Repubblica in riferimento all’enorme e divisivo problema della guerra. Scrive: «L’unico discorso fuori dal coro è, oggi, quello di papa Francesco. E sono ammirato del suo coraggio solitario e di continuare a cercare un confronto perfino con quella Chiesa ortodossa che non ha esitato a benedire la “crociata” di Putin. Per tanti anni recitavo il mantra che la Chiesa doveva star fuori dalla politica. Mai avrei immaginato di poter desiderare oggi un “partito del Papa”. Per quello, oggi, pur essendo ateo e non credente, potrei perfino votare, vincendo la tentazione di astenermi».

Da credente mi associo a un non credente (nella mia modesta attività politica mi è capitato spesso) per auspicare che le provocazioni papali possano scuotere il cattolicesimo per rimetterlo al centro della scena con un ruolo ancora tutto da scoprire, ma con un impegno tutto da esprimere. Si potrebbe cominciare dalla guerra, laddove i cattolici dovrebbero saperla molto lunga. Si potrebbe prender spunto dalle parole di papa Francesco per riscoprire che la politica è la più alta forma di carità.