I quartetti a confronto

Mi è capitato di seguire l’intervista televisiva a Gianfranco Fini rilasciata ad una morbida Lucia Annunziata (ho dato una scorsa ai dati reddituali dei giornalisti che vanno per la maggiore e ho capito tante cose…). A prescindere dai contenuti piuttosto modesti, c’era molto stile. Di Fini un autorevole intellettuale di destra, di cui non ricordo il nome, diceva seccamente: “Non sa un cazzo, ma lo dice bene”.

Devo ammettere che l’autore politico della svolta democratica del neofascismo, mal riuscita a giudicare dallo stato dell’arte di Fratelli d’Italia, mi ha suscitato una certa qual nostalgia. Non a livello di fascismo si intende, mancherebbe altro…, ma mettendo a confronto la leadership plurale del centro-destra di trent’anni fa con quella attuale. Vengo ai nomi: Berlusconi-Bossi-Fini-Casini a confronto con Meloni-Salvini-Tajani-Lupi. Una differenza abissale non tanto a livello politico, ma in senso culturale e stilistico. Qualcuno (Marco Travaglio in primis) sostiene che il personale sia sempre lo stesso, riciclato e spacciato per nuovo di fiamma (il riferimento non è affatto puramente casuale). Resta comunque un deficit di carisma, che sicuramente non tarderà a farsi sentire.

Un tempo la sapevano raccontare meglio? Non c’ alcun dubbio, ma aggiungerei anche un surplus carismatico, quello che oggi viene sostituito da un ricorso spasmodico all’identità e ad un passato che peggiora ancor più la situazione. I quattro attuali leader, a cui gli italiani hanno dissennatamente consegnato il Paese, per tornare alla colorita espressione di cui sopra, non sanno un cazzo e lo dicono male. Per la verità la leadership attuale non è plurale ma singolare: Giorgia Meloni giganteggia ed è detto tutto. Berlusconi ha provato a ribellarsi, ma è stato messo clamorosamente a cuccia. Salvini insiste, ma durerà poco. Maurizio Lupi è presente solo nelle fotografie di facciata.

Torno a Gianfranco Fini: autocandidandosi al ruolo di notabile, ha dovuto ammettere gli errori del passato (la scelta di aderire al PdL, la sottovalutazione di FdI), è stato magnanimo nei confronti del triste presente ammettendo a denti stretti e cuore aperto l’amicizia con gli attuali dirigenti, ha dato un sibillino consiglio sui diritti civili da riservare alla discussione parlamentare. Mi aspettavo di più, ma bisogna accontentarsi. Anche la garbata dissertazione sul neofascismo contrapposto al pensiero unico resistenziale mi ha fatto venire il latte alle ginocchia, ma sempre meglio della supponenza meloniana.

E che dire del vuoto pneumatico di Antonio Tajani collocato in bella evidenza al Ministero degli Esteri per non dare fastidio a nessuno? Molto meglio quanto dichiarato da Silvio Berlusconi intervistato da Bruno Vespa per il suo ultimo libro. Si può arrivare a una trattativa di pace nel conflitto ucraino? “Forse: solo se a un certo punto l’Ucraina capisse di non poter più contare sulle armi e sugli aiuti e se, invece, l’Occidente promettesse di fornirle centinaia di miliardi di dollari per la ricostruzione delle sue città devastate dalla guerra. In questo caso Zelensky, forse, potrebbe accettare di sedersi al tavolo per una trattativa”. “In questa situazione – spiega Berlusconi a Vespa nel libro “La grande tempesta” – noi non possiamo che essere con l’Occidente nella difesa dei diritti di un Paese libero e democratico come l’Ucraina”. Sullo stop alle armi, preferendo l’invio di massicci aiuti economici per la ricostruzione, Vespa obietta che Putin dovrebbe almeno lasciare le due regioni (Kherson e Zaporizhzhia) occupate e annesse dopo le altre due del Donbass (Donetsk e Luhansk). Berlusconi sembra d’accordo, pensa però che non si dovrebbe discutere l’appartenenza alla Federazione Russa della Crimea e fare un nuovo referendum nel Donbass con il controllo dell’Occidente.  Poi arrivano le cazzate egolatriche. É convinto che Putin sia ‘un uomo di pace’, confessa a Vespa che ha provato a chiamarlo due volte senza esito all’inizio della guerra e dopo non ha più insistito. Sulle venti bottiglie di vodka e di lambrusco, ricorda che dopo aver raccontato ai suoi deputati delle lettere di auguri, uno di loro gli chiese: “E vi siete fatti anche dei regali?” E lui sorridendo rispose divertito: “Si certo, venti bottiglie di vodka e venti di lambrusco”. Ma tutti, dice, avevano capito che scherzava”. Alla domanda, infine, di Vespa se si senta più vicino all’America o alla Russia, Berlusconi ricorda che una delle cinque standing ovation riservategli dal Congresso degli Stati Uniti il 19 giugno 2011 fu quando raccontò del giuramento di fedeltà agli USA chiestogli dal padre quando dopo la maturità classica lo portò a visitare il cimitero militare americano di Anzio.

E non c’è un’enorme differenza tra lo sparlare di Umberto Bossi e quello di Matteo Salvini: la gente, per dirla con Enzo Iannacci, votava Lega perché Bossi sparlava bene, ora non vota più Lega perché Salvini sparla male.

In conclusione azzardo la tristissima ipotesi che, tutto sommato, forse andava meglio quando andava male.