Lo spread tra femminismo e melonismo

Premetto di essere molto stanco di assistere a un dibattito politico talmente di basso profilo da incartarsi quasi esclusivamente sulle piroette di Giorgia Meloni sfoderate in chiave normalizzatrice del presente rispetto ad un passato a dir poco equivoco ed incoerente: la Meloni bifronte tiene banco nei salotti televisivi e persino nei convegni e congressi delle corporazioni varie (ci prepariamo ad una subdola edizione delle Camere dei fasci mediatici e delle corporazioni bollettare?).

Sulla tentazione a lasciar perdere (non ragioniam di lor, ma guarda e passa) ha però prevalso l’attenzione carpita mio malgrado da uno strabiliante giudizio snocciolato da Mario Monti su Giorgia Meloni. Lo riporto di seguito letteralmente tratto dalla rubrica “Otto e mezzo” de La 7. “Ho un atteggiamento istintivo favorevole per un fatto politico grande: abbiamo potenzialmente una svolta per il nostro Paese, perché una donna si è conquistata il potere e si appresta ad esercitarlo. Non ho un pregiudizio favorevole al suo partito, ma ho un pregiudizio favorevole a che l’Italia sia governata da una donna e non per gentile concessione di qualcuno, ma perché si è presa il Potere. Attenzione quindi: se fallirà, anche la causa delle donne in Italia subirà un arretramento di qualche decennio e non ne abbiamo bisogno. Oso sperare che abbia successo. Il destino delle donne dipenderà in maniera non trascurabile dal successo politico di Giorgia Meloni”.

Mi hanno stupito la superficialità e la leggerezza con cui un senatore a vita, vale a dire un cittadino che ha illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo scientifico, un tecnico che ha presieduto il governo in un periodo molto difficile, una persona che si è affacciata anche alla politica in senso stretto ottenendo peraltro risultati piuttosto scarsi,  affronta uno snodo politico di una delicatezza e complessità enormi, buttandosi a capofitto su un femminismo d’accatto  di cui le donne farebbero volentieri a meno.

Metto arbitrariamente in contrapposizione il penoso ragionamento montiano con le drastiche argomentazioni sostenute da Edith Bruck, scrittrice, poetessa e traduttrice, sopravvissuta alla shoah, scappata dall’Ungheria e rifugiatasi in Italia dove tuttora vive. “Meloni sarà premier, la prima premier donna in Italia. Questo non è un bene in sé. Anzi: spesso, nei posti di vertice, le donne diventano peggiori degli uomini: tendono a volerli superare, e fanno peggio di loro, sono ancora più spietate. Nei campi di concentramento, le kapò che ho incontrato erano peggiori degli uomini: inumane, cattive. Non è un fatto strutturale, naturalmente, ma di contesto. Non sono sicura che il Paese sia maturo abbastanza per lasciare che una donna ai posti di comando riesca a essere chi è davvero. Meloni è circondata da uomini di un certo tipo, lavora in una struttura di un certo tipo. È amata da chi le dice cose terribili come “hai le palle”, cioè: vali perché sei come un uomo”.

Aggiungo di mio: forse che le sue illustri colleghe straniere hanno fatto e stanno facendo grandi e buoni servizi al mondo in generale e a quello delle donne in particolare? Mi riferisco alle inglesi Margaret Tatcher, Theresa May e Liz Truss, alle tedesche Angela Merkel e Ursula von der Leyen, alla finlandese Sanna Marin. Si sono comportate e si comportano in tutto e per tutto né più né meno come i colleghi uomini. Mi sia consentita una puntura di spillo: quando mai la Von der Leyen ha rivolto “umanamente un guardo di femminile pietà” alle vittime di una assurda guerra, facendosene condizionare al di là di stucchevoli condanne e solidarietà di rito. Smettiamola quindi di fare gli avanguardisti da strapazzo, condendo in salsa melonian-montiana un fenomeno serio come quello dell’emancipazione femminile.

Mario Monti, se ne è capace, faccia dei ragionamenti politici e lasci perdere il femminismo: sta dimostrando di non conoscerlo e quindi di fargli un pessimo servizio. Probabilmente sta tentando di dare una giustificazione psico-sociologica ad uno squallido ammorbidimento politico a cui si è aggregato. D’altra parte, interrogato sulle due facce di Giorgia Meloni, quella atlantista e quella orbaniana, quella europeista e quella sovranista, quella rigorista e quella piazzaiola, quella governista e quella corporativa, ha ipotizzato la normalizzazione meloniana sulla base della responsabilizzazione derivante dal mero sedersi a Palazzo Chigi con tanto di acquisto di una sorta di “grazia di stato”.

Ma insomma chi è questa Giorgia Meloni che sta facendo perdere la testa a tutti, persino all’impeccabile professor Monti? Forse saranno proprio le donne a tornare coi piedi per terra, a non fare del governo italiano una questioni di genere, a non dimenticare un passato che grava come un macigno sulla “melona” della Meloni.