Letta finalmente fuori dal letto

Il segretario dem Enrico Letta da Berlino, al congresso dei socialisti europei, ha dichiarato: “L’inizio di questa legislatura è il peggiore che potesse esserci. La legislatura comincia con una logica incendiaria da parte di chi ha vinto le elezioni. Chi ha vinto, invece di riappacificare il Paese, lo sta dividendo. Ma chi semina vento non può che raccogliere tempesta. Invito a considerare che questo metodo è davvero sbagliato. Si rompe ogni possibilità anche di un rapporto fra maggioranza e opposizione, che è un rapporto nell’interesse del Paese. Sono scelte che fanno slittare ancora più a destra la maggioranza”. Letta dice anche che “con le nomine si confermano le preoccupazioni in Europa”, che “la maggioranza è in guerra interna e non in grado governare”.

Mi è sembrata una nitida fotografia della situazione, che non capisco perché abbia suscitato tanto scalpore. Se proprio devo fare un appunto a Enrico Letta è quello di essersi svegliato in ritardo di qualche mese sulla tabella elettorale. Forse si è liberato dal pesante condizionamento della carica di segretario, forse si sta togliendo qualche sassolino dalle scarpe, forse ha capito che essere troppo rispettosi e riguardosi non paga in questo assurdo clima di violenza verbale. Liliana Segre ha richiamato la politica alla mitezza, atteggiamento che purtroppo non ottiene né attenzione né consenso. Forse, siamo al senno di poi, se Letta avesse incarnato una politica più decisa, oserei dire aggressiva, avrebbe ottenuto paradossalmente più disponibilità a formare il campo largo che aveva ipotizzato (per fare delle alleanze bisogna metterla giù dura, a mediare si fa sempre in tempo), più attenzione mediatica (se uno non spara cazzate, non acquista audience), più rispetto dagli avversari (facendo loro sentire il cuoio delle scarpette chiodate). Persino Mario Draghi ha riservato e sta riservando più gratitudine a Giorgia Meloni, che gli ha sempre votato contro (meno che per le armi all’Ucraina), che non a Enrico Letta, il quale si è costantemente, letteralmente e fantozzianamente sdraiato davanti al suo governo.

Mio padre, con la sua abituale verve ironica, così sintetizzava lo scontro fra generazioni: «Quand j’éra giovvon a säve i véc’, adésa ch’a són véc’ a sa i giovvon…». Intendeva sdrammatizzare gli insopportabili schemi sociologici, che ci assillano con le loro sistematiche elaborazioni dell’ovvio. D’altra parte è come nella vita di coppia. Quando non c’è accordo, qualsiasi parola o azione è sbagliata. Meglio tacere e non fare nulla. È quanto, in fin dei conti, molti “falsi criticoni” desiderano ardentemente. Concludeva rassegnato: Con chil bàli chi, mi an so mai…».

Il discorso vale anche per Enrico Letta: quando sta zitto è troppo remissivo e sgusciante, quando parla si attira ogni sorta di critica. Nell’intervento citato all’inizio non c’è una parola giù di posto: lo sottoscriverei a due mani. Le prime mosse della maggioranza di destra sono divisive e tali da rinfocolare dubbi e perplessità a livello europeo. È obiettivamente così!

D’altra parte è per me una sorta di destino cinico e baro l’andare d’accordo con gli ex di turno. Fu così durante la mia vita professionale, è così anche in politica. In questi giorni sto pensando ai presidenti delle Camere durante il periodo della cosiddetta prima repubblica: quanta nostalgia!

La critica più pelosa che tuttavia viene rivolta a Letta, in base ad una vomitevole interpretazione del “politicamente corretto”, è quella di parlare alle nuore europee perché le suocere italiane intendano. Sempre meglio rivolgersi alle nuore socialdemocratiche rispetto a quelle neofranchiste di Vox, di Orban e compagnia cantando affinché intendano le suocere nostalgiche di casa nostra.

C’era un mio simpatico amico che ostentava il suo tifo calcistico per la squadra del Real Madrid. Tutti lo mandavano a quel paese, ma lui acutamente rispondeva: “Non siamo in Europa? Ebbene io, da europeista convinto, ammiro e sostengo Il Real Madrid! Cosa c’è di sbagliato?”.

Se Enrico Letta preferisce parlare di politica con i socialdemocratici tedeschi piuttosto che con gli inconcludenti e fascisteggianti italiani, niente da obiettare: se andiamo avanti sulla strada inaugurata con le nomine di Ignazio La Russa e Lorenzo Fontana, può darsi che anche a me, età permettendo, venga voglia di espatriare. Letta insegnava presso l’École des hautes études commerciales di Parigi prima di tornare in Italia a svolgere l’ingrato compito di segretario del Partito democratico. “In do s’ ghé ste a s’ ghe pól tornär “. Non per punizione per gli scarsi risultati ottenuti nella sua azione politica, ma, considerata l’aria che tira nel nostro Paese, per premio alla non carriera politica.