Fotosintesi politica senza clorofilla culturale

La cultura, fino a prova contraria, dovrebbe essere il presupposto della politica, offrendole idee ed ispirazioni, atte ad elaborare i programmi per la gestione della cosa pubblica da parte dei partiti che si propongono al corpo elettorale, e la cartina di tornasole per la scelta e la verifica democratica da parte dei cittadini elettori.

In questo periodo di scarsa elaborazione culturale tende a prevalere una politica miseramente attestata sulle idealità di facciata e illusoriamente impegnata sulle abbondanti emergenze. Da una parte c’è la rincorsa al consenso tramite lo sbandieramento mediatico di slogan nostalgici e ideologismi più che datati, dall’altra parte si cade nella banalità delle impossibili promesse elettorali.

In un simile clima si sta profilando una sorta di rigurgito pseudo-culturale, che porta alla contrapposizione piuttosto manichea fra una cultura dalle radici fasciste, pur goffamente revisionate e condite in salsa populista e sovranista, e una cultura di sintesi fra il post-comunismo castale e il radicalismo sciccoso e salottiero della difesa dei diritti della persona.

Chico Mendes, sindacalista, politico e ambientalista brasiliano, è rimasto sconosciuto ai più fino al momento in cui una frase a lui attribuita è comparsa in rete: «L’ambientalismo senza lotta di classe è semplicemente giardinaggio».  Parafrasando questa stimolante e provocatoria affermazione, mi sentirei di azzardare che “la politica senza respiro culturale è semplicemente inganno sociale” oppure a rovescio che “la cultura senza sbocchi politici democratici è deviante esercizio retorico”.

Forse nell’attuale momento storico, italiano e non solo italiano, tende a prevalere una politica senza solide basi culturali che sbocca (quasi) inevitabilmente nel fascismo comunque camuffato, così come abbiamo una cultura di maniera che finisce con l’essere ininfluente ed irrilevante sul piano politico.

Volete un esempio eloquente? La deriva meloniana, accettata irresponsabilmente e rassegnatamente dagli elettori, trova un ostacolo dialettico efficace solo nella pur rispettabilissima difesa dei diritti LGBT (acronimo di origine anglosassone utilizzato per indicare le persone lesbiche, gay, bisessuali, transessuali e transgender) e del diritto all’aborto. Moltissimo per i soggetti in questione, poco per una visione completa della società nelle sue articolate dinamiche consacrate nella Costituzione.

Giorgia Meloni, davanti alla pur pertinente contestazione sulla messa in discussione del diritto della donna ad abortire, va a nozze rispondendo di preoccuparsi delle donne che, opportunamente aiutate e supportate, potrebbero non abortire: in poche parole, alla cultura senza respiro politico si contrappone la politica senza respiro culturale.

La sacrosanta contestazione alla destra in vena di inquietante riscossa si concentra e si appiattisce sulle preoccupazioni di stampo squisitamente liberale riguardanti il rispetto dei diritti riguardanti la sfera sessuale, mentre sorvola sul rispetto dei principi costituzionali e democratici rinviando la verifica a data da destinarsi. Della serie “l’aborto non si tocca, la flat tax si può anche valutare…gli omosessuali vanno rispettati, sull’antifascismo ormai si può anche sorvolare…le coppie di fatto sono intoccabili, l’euroscetticismo è ammissibile…le persone appartenenti alla galassia lgbt sono giustamente e saldamente integrate nel sistema, degli immigrati chissenefrega…”.

Non vorrei essere equivocato: mi stanno molto a cuore certe questioni e, se del caso, non esiterei a scendere in piazza per difendere il Paese da ogni e qualsiasi retrocessione in materia di diritti nel campo lgbt, ma desidererei uguale intransigenza dal punto di vista della democrazia a livello nazionale, europeo e mondiale.

Torno al discorso da cui sono partito. Nel panorama culturale mancano i valori cristiani o meglio, da una parte, quella del fascismo strisciante, vengono strumentalizzati, estremizzati e radicalizzati: un nostalgico, anacronistico ed integralistico “Dio, Patria e Famiglia”, richiamato da Giorgia Meloni e, per stare alle ultime battute politiche, dal nuovo presidente della Camera. Dall’altra parte, quella progressista dei salotti, vengono ignorati come ispirazione e come riferimento.

Politicamente parlando, ai cattolici sembra non rimanere altro che schierarsi con gli integralisti che fanno rima con fascisti, o con i progressisti che fanno rima con laicisti. A mio giudizio il fallimento del partito democratico sta proprio in questa smemoratezza valoriale rispetto alle culture di riferimento: quella comunista e quella cattolica. Un PD portato avanti in spregio al disegno moroteo, che sta andando a sbattere senza la bussola di partenza.

E il cattolicesimo democratico, che tanta parte ha avuto nello sviluppo della democrazia italiana, che fine sta facendo? L’ultimo dei giusti sembra essere Sergio Mattarella, sempre più confinato nel suo apparente splendido isolamento. Il giornalista Alessandro Sallusti, per coprire l’indegna strumentalizzazione che la destra italiana sta facendo della figura e del pensiero di papa Francesco, ha spezzato una lancia in difesa di queste improprie invasioni di campo, generalizzando tutte le citazioni papali che la politica va facendo, comprendendo nell’esercito dei citatori facili, anche Sergio Mattarella. Una colossale sciocchezza: Lorenzo Fontana appartiene al farneticante cattolicesimo (quello dei rosari branditi in campagna elettorale) prestato ad una farneticante politica, Mattarella è un autentico cattolico, interprete di un filone storico-culturale, che ha fatto da valido supporto alla instaurazione e alla vita della democrazia italiana.

Senza memoria ed elaborazione culturale si va a ramengo. Ce lo ha ricordato, in modo “sublime”, Liliana Segre col suo discorso introduttivo all’insediamento del Senato: nel bouquet di fiori offertole da un post-fascista, chiamato a ricoprire la seconda carica dello Stato, sta tutta la falsità di una politica smemorata e sconsiderata. Se nel fare politica non si parte da Giacomo Matteotti e da tutti i martiri dell’antifascismo, si cade nel baratro del politicamente (s)corretto. Se fossi stato senatore avrei votato per Liliana Segre, invece l’ha spuntata Ignazio La Russa con i voti determinanti di una parte, seppur piccola, del centro-sinistra. È detto tutto!