Meglio mardi che tai

Orlando e il campo largo: “Se vinciamo un governo con M5S e Terzo polo”. Il voto utile non decolla, il ministro del Lavoro riapre alle alleanze dopo le urne: «Dopo servirà una rifondazione dei progressisti, non un nuovo segretario». (La stampa)

È piuttosto curiosa ed estremamente tardiva l’opinione dell’esponente piddino, che sembra catapultato sull’arida terra della campagna elettorale dalla lontana luna dei desideri politici. Il suo discorso prescinde dal sistema elettorale vigente: sarebbe plausibile se si votasse col sistema proporzionale e se quindi le maggioranze di governo si formassero in Parlamento sulla base dei consensi ottenuti dai singoli partiti. Dalle urne invece, volenti o nolenti, dovrebbe uscire la configurazione di una coalizione di governo e non si può rinviare a domani quello che sarebbe necessario prospettare concretamente oggi agli elettori.

È chiarissimo che se il PD intende governare lo dovrà fare alleandosi con il M5S e il cosiddetto Terzo Polo: un’alleanza politica assai problematica ma necessaria, che però andava configurata e proposta tramite un raggruppamento, che consentisse la conquista dei seggi eletti col sistema maggioritario in concorrenza con la coalizione di centro-destra (sarebbe meglio dire di destra!). Diversamente l’ipotesi di Andrea Orlando appare come un impossibile incollaggio dei cocci di un vaso non solo rotto ma rottamato.

Enrico Letta e la classe dirigente del Partito Democratico avrebbero dovuto dimostrare la loro capacità proprio nel perseguire, nonostante le evidenti differenze politico-programmatiche, un’alleanza elettorale che potesse poi tradursi sebbene a fatica in un’alleanza politica. La politica è mediazione, è compromesso seppure ai livelli più alti. In questo caso l’alto livello doveva consistere nello sconfiggere una destra pericolosa e inadeguata per i problemi italiani, europei e mondiali. Mediare all’indomani delle elezioni sarà quasi certamente un esercizio inutile e frustrante.

Involontariamente (?) Orlando ha messo il dito nella piaga del proprio partito e del suo segretario, che si sono rivelati incapaci di fare politica, oscillando fra un debole corteggiamento verso i post-grillini e un piatto conformismo draghiano con l’intermezzo di un accordo con Carlo Calenda prontamente e bilateralmente contraddetto. Mi sembra difficile mangiare le uova dopo aver cucinato una bella frittata.

Non si può volere la pienezza della botte proporzionale assieme all’ubriacatura della moglie maggioritaria. C’è qualcosa che tocca. Nell’atteggiamento lettiano alcuni hanno rivisto l’edizione riveduta e scorretta della sfida egemonica veltroniana di parecchi anni fa e, forse per certi versi, anche dell’illusione occhettiana coltivata ancor prima, tentazioni peraltro provenienti dalla storia e dall’ideologia gramsciana: furono sonore sconfitte, che causarono danni gravi e lasciarono il segno nel centro-sinistra, spianando la strada alla destra che sa trovare nel collante del potere il segreto della propria forza. Walter Veltroni dette le dimissioni dopo un risultato elettorale più che discreto – se non erro un 33% che Letta vedrà solo col binocolo – in quanto il consenso ragguardevole ottenuto non poteva servire a governare perché isolato e sterile. Non so quale sorte spetterà ad Enrico Letta: comunque vada, la sua incapacità politica è dimostrata.

In questi giorni Roberto Speranza, esponente di un pezzetto di sinistra, ha fatto una constatazione interessante. Le forze di centro destra durante l’ultima legislatura sono andate in ordine sparso: la Lega ha fatto un governo con i cinquestelle e gli altri partner destrorsi all’opposizione; poi è arrivato Draghi, Forza Italia e Lega sono andati al governo e FdI è rimasta all’opposizione; lasciamo perdere i loro contenuti programmatici divergenti su materie importantissime. Hanno trovato il modo di rimettersi insieme e di far abboccare gli elettori. I partiti riconducibili al centro-sinistra sono stati molto più “vicini fra di loro” soprattutto nel sostenere il governo Draghi. Ebbene, davanti agli elettori si presentano divisi e assai poco attrattivi.

Perché? Forse la risposta sta in una sconfortante conclusione: sinistra e destra sono condizionate dalla ricerca del potere per il potere, ma mentre la destra è capace di gestirlo, la sinistra no. Se proprio vogliamo entrare appena un pochettino nel merito possiamo aggiungere che i post-comunisti hanno trasformato il potere castale nella loro ragion d’essere, ma, alla prova dei fatti, non riescono a trasferirlo democraticamente nelle istituzioni; i dorotei di democristiana memoria, trasferiti armi e bagagli nel centro-destra berlusconiano e post-berlusconiano, riescono benissimo e sempre a saltarci fuori. Per non parlare dei socialisti…loro in Italia col craxismo sono stati capaci di fare il compromesso storico col potere procurando disastri tuttora ben presenti a livello di macerie anti-democratiche.