In guerra con la guerra, in pace senza pace

Il recente intervento di Michele Santoro a “Di Martedì” su La 7 mi conferma nel “dramma” elettorale che sto vivendo. Qualcuno osserva come io abbia la politica nel sangue: penso sia vero. Una malattia o una sfida? In ogni caso soffro e mi sento assai titubante di fronte alla scadenza elettorale. Cerco di distrarmi, ma poi mi sento in colpa. Mi sforzo di ammettere che la politica è importante, ma ci sono anche altre cose: la fede, l’amore, l’amicizia, la famiglia, il lavoro, la musica, etc. etc. Il pensiero torna però lì e vedo la politica ridotta ad un cumulo di macerie. Tento di ragionare.

Ci sono due approcci alle urne: uno di carattere “ideologico” o quanto meno “ideale” e uno di carattere politico o quanto meno “partitico”. Questo rappresenta già di per sé un’anomalia, se non addirittura la fine della politica vera, che dovrebbe riuscire a coniugare le idee e i valori con la realtà ed i suoi problemi. Invece da una parte c’è l’emarginazione degli idealisti ridotti a stucchevoli sognatori, dall’altra parte la premiata forneria Meloni che arruola tutti coloro che non pensano, ma alzano le spalle.

Un posto centrale nella riflessione lo dovrebbe indiscutibilmente avere la guerra, la madre ti tutti i problemi. La politica ce la presenta come una necessità, come un male necessario, come un dovere di solidarietà verso l’Ucraina e di condanna verso la Russia. Non accetto questo schema, non mi rassegno, credo che ci debba essere spazio per cessare l’escalation delle armi e per trattare, dialogare, avviare almeno una tregua per poi costruire un nuovo assetto pacifico a livello internazionale.

Questa convinzione la trovo nel Vangelo: gira e rigira, lì sta la risposta ai guerrafondai di tutti i tempi e di tutti i tipi. Un mio caro amico mi ha obiettato che Gesù non dialogava con i farisei, lasciandomi intendere che il fariseo per eccellenza è attualmente Vladimir Putin. A parte il fatto che Putin non è purtroppo l’unico dei farisei, Gesù ha combattuto i farisei con la forza degli ideali e addirittura si è lasciato mettere in croce anche e soprattutto da loro.

Qualche mese fa scrivevo: “Ebbene la forza del Papa sta nella sua concreta, oserei dire testarda, adesione ai principi evangelici (purtroppo è solo persino nella casa cristiana), ma, come ebbe a dire tanti anni fa Giovanni Bianchi ex presidente delle Acli e parlamentare del partito popolare, anche nell’esercito di “vecchiette” che pregano per la pace senza magari sapere chi siano Putin e Zelensky. Giorgio La Pira andava a colloquio con i “grandi” a mani nude, armato solo delle preghiere delle suore di clausura. Lo ammise apertamente di fronte ad un attonito politburo dell’Urss. La pace ha bisogno di sognatori più che di raffinati ed inconcludenti governanti ed ambasciatori: i sogni infatti possono diventare belle realtà, le brutte realtà, lasciate a loro stesse, restano immutabili per sempre”.

La politica non è in grado di mettere minimamente in discussione la logica di guerra, che sottende a tutti i rapporti internazionali: in un ceto senso la crisi ucraina è solo l’attuale punta dell’iceberg bellico, che ci coinvolge e ci distrugge. Se adottiamo il paradigma della pace alla scelta elettorale non ci saltiamo fuori: sul discorso guerra tutti i gatti sono bigi, i partiti sono tutti uguali salvo qualche strumentale distinguo (vedi M5S) o qualche timida puntata critica (vedo Si e Verdi). L’unica formazione politica che affronta con un certo coraggio la questione è Unione popolare-De Magistris, che però non riesce a inserire la scelta pacifista in un contesto politico, ma resta aggrappata alle idee rischiando di ricadere nell’ideologia.

Bisognerebbe quindi prescindere dalla guerra per andare a votare, ripiegando magari sulla necessità di fermare la valanga di destra che rischia di travolgere il Paese e la sua debole democrazia. Può essere uno stimolo: prendere almeno le distanze, mettere un freno ad una sorta di neo-fascismo dilagante, salvare il salvabile, alzare una barriera contro la “barbarie” populista, sovranista e nazionalista. A tale riguardo però non basterà solo uno striminzito voto, ma occorrerà ben altro, come ha lasciato intendere il governatore della Puglia Michele Emiliano, che è finito nella bufera politica dopo le parole pronunciate ad un comizio. Le sue frasi non sono piaciute per nulla all’intero centrodestra ma anche al terzo polo. Il governatore della Puglia si era espresso così: “La Puglia è la Stalingrado d’Italia, qualunque cosa accada da qui non passeranno, gli faremo sputare sangue”. A me queste parole sono piaciute: ci dobbiamo preparare a tempi duri in tema di democrazia.

Il gioco vale la candela? Ha senso usare l’approccio elettorale squisitamente politico? Votare per evitare il peggio, sfidando una sorta di buio pesto da cui si rischia di non uscire vivi: emergono infatti tutti i limiti, i difetti, le contraddizioni di una classe politica a dir poco inadeguata. Non è forse meglio astenersi dal voto in base ad una umile e rispettabile obiezione di coscienza (della serie “non mi sento proprio di votare”)?

I giorni passano e i dubbi crescono. E se ci limitassimo a pregare il rosario assieme alle vecchiette che non sanno chi sono Putin, Zelensky, Biden, Macron, Draghi, Letta, Salvini e Meloni? Sanno che solo Dio può cavarci fuori dal tunnel in cui si siamo ficcati.