A rischio di mettere insieme capre e cavoli mi viene spontaneo creare un ardito collegamento fra due fatti sconvolgenti nella loro delinquenziale dinamica nonché nel loro contorno omertoso durante i fatti e nell’eco coccodrillesca successiva ai fatti stessi. Mi riferisco alla morte per stenti della bambina lasciata sola a morire come un cagnolino dalla madre in vena di fuga totale dalle proprie umane responsabilità e all’aggressione mortifera a un mendicante reo, a quanto pare, di essere troppo insistente nell’esibire la propria povertà e i propri complimenti, da parte di una persona che, a suo dire, ha letteralmente perso la testa.
Sinceramente provo paradossalmente più pietà per gli esecutori di questi fatti che non per le vittime incolpevoli della loro follia direttamente o indirettamente omicida. Non sono portato a demonizzare certe situazioni, ma in questi casi l’impronta complessa del diavolo è inequivocabile.
Che una madre arrivi ad abbandonare una figlia bambina per inseguire la propria autonomia di vita (così almeno sembra la spiegazione addotta da questa donna) è cosa raccapricciante anche se non irreale. “Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai”, così Dio nella Bibbia per bocca del profeta Isaia. Ebbene Dio prevede nella donna una grande attenzione per la sua creatura, ma non esclude che se ne possa dimenticare. Quindi niente di impossibile pur nella stranezza dei rapporti umani famigliari.
Che una persona sfoghi il proprio istinto aggressivo contro un innocuo soggetto importuno è cosa inaccettabile anche se la vita è piena di aggressività a tutti i livelli e in tutti i sensi. Caino uccide Abele per un non meglio precisato senso di gelosia nei confronti del fratello a dimostrazione che, in fin dei conti, in tutti i fatti di sangue c’è, più o meno, la presenza dell’insensatezza della violenza verso i propri simili.
Lascio ai sociologi la sistematica elaborazione dell’ovvio, agli psicologi l’impegnata indagine nell’inestricabile labirinto della psiche, ai rigoristi la sussiegosa illusione nelle punizioni esemplari. Ripiego sulla pietà che Dio ha per noi e che noi dobbiamo avere per tutti senza alcuna eccezione. Mi inquieto pensando che non stiamo facendo niente non dico per prevenire simili fatti (sarebbe pretendere troppo), ma nemmeno per contenerli mentre si svolgono. Noi vediamo, o almeno potremmo vedere, e passiamo oltre: in gergo legale si chiama omertà, che non è reato finché non diventa complicità. Dal punto di vista morale il confine è ancor più labile: far finta di niente di fronte al male è l’anticamera del male stesso.
A poco servono le lacrime del giorno dopo che non lavano, ma sporcano la coscienza. Possibile che nessuno si sia accorto del calvario di quella bambina chiusa in casa e/o delle contraddizioni latenti in essa? Ancor più clamorosamente impossibile che nessuno potesse intervenire per fermare quella tragica e assurda aggressione dal momento che il fatto si è verificato sulla pubblica via e qualcuno ha addirittura ripreso la scena. Non sono un giurista, ma mi pare che si potrebbe addirittura configurare il reato di omissione di soccorso. Reati a parte, per dirla con papa Francesco sono «tristi segnali di quella “globalizzazione dell’indifferenza”, che ci fa lentamente “abituare” alla sofferenza dell’altro, quasi fosse normale».