Col passare dei giorni di questa squallida campagna elettorale cresce in me l’atroce dubbio se possa o meno essere a rischio la democrazia. Su questo argomento si stanno esercitando fior di esperti: li leggo e li ascolto con apprensione, anche se non mi convincono con le loro rassicuranti conclusioni o con i loro sterili ed allarmistici messaggi.
Preferisco soffrire ripercorrendo la storia e chiedermi: ci puzza o no di fascismo? È fascismo considerare la Costituzione come un ostacolo da aggirare? È fascismo l’euroscetticismo che si aggira nella destra italiana? È fascismo dare ascolto alle sirene populiste e sovraniste? È fascismo considerare gli immigrati come un peso insopportabile da rimuovere? È fascismo spargere paura e insicurezza? È fascismo giocare a fare i politici senza averne la stoffa? È fascismo ridurre la politica a tentazioni fatte di scetticismo e di pressapochismo? È fascismo impostare il dibattito sulle schermaglie polemiche dimenticando i valori e le idee? È fascismo spettacolarizzare le elezioni come un duello fra uguali e contrari? È fascismo eleggere il Parlamento con il retropensiero che non conti nulla? È fascismo pensare che il fascismo non esista più e che nella notte della democrazia tutti i partiti siano grigi? È fascismo ritenere che un po’ di pugno forte non guasterebbe? È fascismo sottovalutare i rischi di chi pesca nel torbido del passato lasciando intendere che non potrà più tornare? È fascismo far votare la gente con un sistema elettorale vomitevole, che sembra fatto apposta per favorire l’astensione dalle urne?
Potrei continuare. Il rischio c’è, anche se molti non lo vedono, anche se molti fingono di non vederlo, anche se a molti sta bene correrlo. La democrazia inizia il giorno dopo delle elezioni, ma ci sarà ancora modo e tempo per esercitarla? Comincerà una lunga trafila di picconate alla democrazia?
Mettiamo il caso, tutt’altro che improbabile, che fra due mesi venga conferito l’incarico di formare il nuovo governo a Giorgia Meloni o a chi per lei. Non voglio fare il menagramo e tanto meno l’arruffapopolo. Nel 1960 la piazza si sollevò contro il governo Tambroni appoggiato dai neofascisti. So benissimo che il contesto politico è oggi molto diverso, anche se qualcuno potrebbe dire che si invertiranno le parti, vale a dire un governo neo-fascista appoggiato dai post-democratici. E i sindacati staranno a guardare? Qualcuno scenderà in piazza? Il clima si surriscalderà? Il pallore quasi cadaverico, con cui il presidente Mattarella annunciò lo scioglimento delle Camere e la conseguente indizione di elezioni politiche anticipate, mi mette tanta paura.
La debolezza della sinistra mi fa rabbrividire, il tatticismo dei moderati mi irrita e mi preoccupa. L’assenza delle forze intermedie mi spaventa. I ragli berlusconiani mi incutono timore del peggio che sta arrivando. Ammesso e non concesso che riesca ad andare al voto superando le perplessità, pur sapendo che l‘esito elettorale sembra scontato, il giorno dopo che si fa? Non avrei mai più pensato di arrivare ad una simile situazione. Cosa potrà significare difendere la democrazia e resistere contro chi se la vuole bere in coppa?
Mi sento solo, non percepisco un minimo di sensibilità allargata. Non sento alcuna voce autorevole che possa dare un po’ di speranza e di coraggio. Qualcuno pretende che Fratelli d’Italia tolga dal simbolo l’ingombrante fiamma tricolore. Se fosse solo quello il problema… A livello culturale mi rifugio nel patriottismo costituzionale capace di sconfiggere l’altro patriottismo, quello salvinian-meloniano. Che Dio ci aiuti!