I poveri sotto il tappeto

I numeri della clamorosa e schizofrenica ondata vacanziera, che assomiglia più all’assurda fuga disperata dai problemi che alla pausa riposante dagli impegni, coprono quelli della povertà crescente. Di fronde all’esodo di massa verso mari e monti viene spontanea una domanda: ma allora esiste la povertà e, se esiste, dov’è? È pur vero che fanno più rumore gli alberi vacanzieri che si abbattono sugli schermi televisivi rispetto alla foresta dei poveri che cresce nell’assordante silenzio del menefreghismo socio-economico. Se abbiamo tuttavia il coraggio di grattare la crosta del finto benessere generale, ci accorgiamo che la povertà esiste anche se su tale fenomeno incombe appunto l’aggravante della impalpabilità, della opacità e dell’indifferenza.

I poveri ci sono, ma non riescono ad avere né visibilità, né voce. I dati statistici li fotografano, ma la società relega questa fotografia nel baule delle cose imbarazzanti e sgradite: meglio far finta di niente. Si tratta di un vizio da nascondere per non figurare male. D’altra parte essi non hanno rappresentanza sociale e politica e possibilità di mobilitazione a livello movimentista: sono destinati alla irrilevanza. L’associazionismo non li contempla, il partitismo li giubila, il sistema li esorcizza, i governi li accarezzano, i media li falsificano.

Loro, che avrebbero i veri motivi di protesta anti-sistema vengono surclassati dai falsi motivi del qualunquismo da bar e della teorizzazione da salotto. Loro, che dovrebbero gridare contro la politica che li dimentica, vengono messi a tacere dall’antipolitica che tutto seppellisce. D’altra parte la loro frammentazione sociale li isola, li marginalizza e li ammutolisce. Anche gli scontri sociali, che scoppiano qua e là, sono più sfoghi corporativi dei ricchi che lamentazioni disperate dei poveri. E sono sempre loro a pagare il conto: quello della guerra, della crisi energetica, della pandemia, dell’inflazione, etc. etc.

Chi dovrebbe raccogliere il loro “tacito” appello? La politica, che, diversamente, cosa ci sta a fare. Invece i meccanismi della politica sembrano fatti apposta per escludere i poveri dalla partecipazione. Scrive acutamente al riguardo Eugenio Mazzarella su Avvenire: “La recente analisi di Tecnè Italia della sempre più massiccia astensione elettorale, e della sua struttura interna, ha confermato un dato ormai acclarato: la diserzione dal voto dei ceti più disagiati, sempre più convinti che la politica non li rappresenti e, quindi, dell’inutilità della partecipazione elettorale. «Le classi più disagiate cercano risposte che non trovano in nessun partito e percepiscono che spesso il loro voto è inutile. Dunque, se ne stanno a casa», è l’efficace sintesi dell’Istituto di ricerche. In sostanza, dal campione esaminato (le ultime amministrative), emerge che solo il 28% degli elettori a basso reddito è andato al seggio. Le percentuali salgono per la classe a reddito medio (63%) e soprattutto per i redditi alti (79%).

E come dare torto a chi non ha alcuna fiducia in una politica autoreferenziale, chiusa in sterili tatticismi e sorda alle istanze popolari trasformate subdolamente in ansie populiste? Col sistema elettorale vigente piove abbondantemente sul bagnato: l’astensionismo è sintomo di una malattia che nessuno ha interesse a curare, con cui la politica ha interesse a coesistere. In fin dei conti i poveri ci sono sempre stati…e, se non vanno a votare, peggio per loro…

E la cosiddetta sinistra? Sta a guardare il proprio ombelico e discute con chi allearsi per meglio perdere la propria identità e la propria missione. I poveri, della cui articolata categoria non faccio parte ma di cui dovrei farmi carico nel mio piccolo, non riescono a identificarsi in essa né per necessità né per virtù. Sta succedendo anche a me.

Mi permetto di chiedere una cosa molto semplice, ma compromettente, a Enrico Letta: abbia il coraggio di sollevare un lembo del tappeto sotto cui da tempo viene nascosta la povertà vecchia e nuova e lasci perdere la pulizia di specchi e lampadari. Diversamente non potrò che infilarmi sotto il tappeto, finendo magari per essere demagogicamente solidale coi poveri a livello di astensione dal voto. Una doppia amarissima vittoria di Pirro.