Il 23 agosto si è ricordato l’anniversario della morte di don Minzoni, parroco di Argenta, educatore di giovani ucciso a bastonate da alcuni squadristi fascisti facenti capo all’allora console di milizia Italo Balbo. Come ogni anno l’arcivescovo di Ravenna-Cervia monsignor Lorenzo Ghizzoni ha celebrato una Messa nella chiesa di San Nicolò ad Argenta. Inoltre, in piazza Garibaldi a Ravenna, si è tenuta la commemorazione organizzata dal Centro Studi Donati, Acli, Associazione Zaccagnini. Quest’anno c’è stata la partecipazione del sindaco, Michele de Pascale e dell’onorevole Enrico Letta. Durante la serata, coordinata da Livia Molducci, sono stati letti da alcuni giovani brani del diario di don Minzoni e scritti di Benigno Zaccagnini, Giovanni Paolo II e Sandro Pertini.
La notizia è passata quasi sotto silenzio, coperta dai frastuoni della campagna elettorale, ma anche tenuta sotto traccia per non disturbare i probabili nuovi manovratori del governo italiano. Ricordare il martirio di don Minzoni è politicamente scorretto rispetto all’aria “revisionista” che tira. Vergogna!
I cattolici, se non vogliono autocondannarsi all’irrilevanza politica, rischiando di perdersi nel mercato alla ricerca del miglior offerente di prodotti a breve conservazione, dovrebbero fare memoria storica aiutati dai fulgidi esempi della testimonianza di personaggi come appunto don Minzoni e ascoltare magari gli inviti del cardinal Matteo Zuppi, presidente della Cei che, dalla tribuna del meeting di Rimini, ha recentemente parlato all’intera società italiana, ragionando sulla passione per l’uomo.
Questa passione si deve tradurre in uno «sforzo per l’amicizia sociale, per tessere la comunità: la lezione che le pandemie del Covid e della guerra ci hanno dato è che ci riguardano tutti» ha spiegato. Il nostro problema è che questo tempo è contrassegnato piuttosto da «passioni tristi», che ci portano ad affidarci all’algoritmo e a interpretare una visione della vita «pornografica», basata «su vitalismo e prestazione, affermazione di sé offensiva per la fragilità. Siamo la generazione che ha di più eppure vuota d’amore, con passioni tristi e nelle passioni tristi ci affidiamo a un algoritmo – ha detto -. É una grande sfida, perché se non abbiamo una passione per l’uomo alla fine l’algoritmo è più forte. Se c’è un deserto spirituale – ha concluso – vuol dire che c’è bisogno di acqua: l’acqua della passione che dobbiamo cercare insieme». Al contrario, in questo momento, prevale un rapporto strumentale con gli altri «perciò non ci accorgiamo delle domande e delle sofferenze altrui e non capiamo che anche la nostra sofferenza trova una risposta nella condivisione con gli altri. Invece, l’individualismo ci fa restare nel nostro io».
É il brodo di coltura dei nazionalismi, dal momento che, ha sottolineato, «le paure nascono da un io isolato e l’individualismo che sembrerebbe affermare noi stessi in realtà ci rende deboli e rende l’altro un concorrente, un avversario che non capisco, di cui non capisco la domanda. L’individualismo diventa poi nazionalismo, un grande io che diventa tanti io isolati, mentre è solo scoprendo l’altro che scompare la paura».
«Diffidiamo di un cristianesimo idealizzato – ha detto – servono testimoni credibili, anziani che sognano e che fanno sognare i giovani». Però bisogna aver chiaro che questa passione è per l’uomo così com’è: «Don Primo Mazzolari – ha ricordato Zuppi -diceva che non si ama il povero come lo si vuole ma con tutti i problemi e le contraddizioni che può avere».
Se ci si mette in questa logica, pur nel rispetto di una visione laica della politica, tutte le scelte non possono essere equivalenti: i gatti nella notte partitica non sono tutti bigi. Soprattutto la storia passata ci deve interrogare e scuotere. Esistono riferimenti imprescindibili che devono ispirare e guidare.
Dopo l’esperienza della Democrazia Cristiana, con tutti i limiti che può avere avuto, ma con il pregio di riuscire a combinare l’ispirazione cristiana con la prassi politica, i cattolici si sono dispersi nei vari rivoli partitici cadendo soprattutto nella rete del berlusconismo, una rete che non ha ancora finito di pescare e che si sta trasformando in “legamelonismo”. I cattolici avrebbero gli antidoti giusti per resistere a queste tentazioni, ma temono di rimanere spiazzati ed emarginati rispetto all’andazzo della società odierna. Se perdono la memoria e vanno avanti “alla giorgiona” sono fregati. C’è da augurarsi che non vinca la pigrizia delle “passioni tristi” dell’egoismo con tutto quel che segue e prevalga il coraggio delle “passioni forti” dell’altruismo, quelle dell’antifascismo, della Resistenza, della Costituzione, della democrazia, della solidarietà sociale e della condivisione.