Sta girando una vecchia barzelletta aggiornata per l’occasione. Salvini avrebbe telefonato proponendo categoricamente a Berlusconi “elezioni subito”. Al che il cavaliere avrebbe equivocato e, capendo “erezioni subito”, avrebbe dato un immediato placet alla manovra per far cadere Draghi. Forse si sarà accorto dell’equivoco in ritardo e dovrà fare buon viso a cattiva sorte.
Continua infatti a impensierire i vertici forzisti l’addio di diversi parlamentari, scontenti per l’affossamento del governo Draghi. Fra i veterani, hanno preso cappello i tre ministri Renato Brunetta, Mariastella Gelmini e Mara Carfagna: «Se avessi pensato alla poltrona, sarei rimasta in Fi», scrive quest’ultima in risposta a punzecchiature giornalistiche su una possibile adesione elettorale degli uscenti al centrosinistra. Anche in Lombardia, dove Gelmini è stata coordinatrice regionale, le acque sono agitate, con Letizia Moratti che chiede un «chiarimento».
Poi c’è il nodo della premiership. Uno dei colonnelli meloniani, Ignazio La Russa, rivolto alla Lega e a Forza Italia dice: «Le regole ci sono e vanno rispettate», riferendosi all’accordo delle scorse politiche sul fatto che il candidato premier venga espresso dal partito che prende più voti. Un punto su cui Giorgia Meloni non arretra: «Senza accordo sulla premiership – ha avvertito –, l’alleanza per governare insieme è inutile».
Un aut aut sul quale Matteo Salvini non pare alzare barricate: «Chi ha un voto in più indica il premier», ripete, invitando i partner a non perdere tempo in polemiche, per non rischiare «di farci del male da soli».
Invece Forza Italia continua a temporeggiare: «Serve una squadra, non un uomo o una donna sola al comando», dice il coordinatore Antonio Tajani. E il Cavaliere si mostra tiepido: «Non riesco ad appassionarmi al problema e non credo appassioni gli italiani. Del resto i nostri avversari non hanno indicato un candidato premier. Perché questa pressione su di noi?», argomenta, intervistato dal Corriere della Sera. Poi aggiunge: «Meloni sarebbe un premier autorevole, con credenziali democratiche ineccepibili, di un governo credibile in Europa e leale con l’Occidente. Allo stesso modo lo sarebbero Salvini, o un esponente di Forza Italia».
Alla fine (?) avrebbero trovato un accordo (?): il premier lo indicherà il partito che avrà più consensi, ma non necessariamente sarà il leader di quel partito. In parole povere, dato per scontato il prevalente peso elettorale di Giorgia Meloni, il premier lo sceglierà lei. E il capo dello Stato? La dovrà bere da botte meloniana. E Berlusconi? Reggerà il moccolo! Chi si contenta gode.
Oltre alla leadership, c’è il problema della suddivisione dei collegi uninominali, con FdI che ne reclama metà (sulla base del primato pronosticato dai sondaggi) e le altre forze che preferirebbero una ripartizione basata sui voti delle scorse politiche.
Berlusconi sembrerebbe essere nei pasticci, ma siccome non credo alla sua confusione mentale, sono portato a pensare ad un suo ben preciso tornaconto anche se faccio fatica a intravederlo. Certamente si è voluto smarcare dall’ingorgo del traffico filo-draghiano che lo stava imprigionando e isolando rispetto al centro-destra. Recentemente l’ingegner Carlo De Benedetti, che lo conosce bene, ha affermato che Berlusconi fa tutto per interesse personale e, richiesto di meglio precisare questa teoria, ha aggiunto: “Per soldi!”. Ho pensato allora che le elezioni possano portare un buon business propagandistico a Mediaset e dintorni: d’accordo, ma tutto questo gran casino per un po’ di pubblicità? Ci deve essere dell’altro.
La riabilitazione politica dopo i vari sputtanamenti giudiziari peraltro non ancora terminati? Questo discorso si era affacciato in occasione della provocatoria candidatura alla presidenza della Repubblica. Forse il gioco non vale la candela, perché ad una eventuale ripresa di dignità etica farebbe riscontro la definitiva chiusura della carriera politica in braccio ai suoi rivali: una vecchiaia politica assistita da una ben strana coppia di badanti, Giorgia Meloni e Matteo Salvini. La presidenza del Senato sarebbe per lui un contentino piuttosto insignificante: un piatto di lenticchie. La presidenza della Repubblica per il dopo Mattarella sarebbe una eventualità che farebbe i conti con l’inesorabile trascorrere del tempo…Una sua premiership a livello governativo sarebbe devastante per gli accordi fra i partiti del centro-destra…Forse l’Economist è già pronto a rispolverare una vecchia copertina per il 26 settembre prossimo: “Burlesconi!”. Anche se in materia burlesca la Gran Bretagna con Boris Johnson non è da meno.
Gira e rigira, come nel gioco dell’oca, si ritorna la punto di partenza e cioè all’equivoco barzellettiere di cui sopra. E se non si trattasse di una barzelletta? E poi, le questioni interne al centro-destra non mi devono interessare. Non li voterò neanche sotto tortura e, se devo essere sincero, non mi fanno nemmeno paura per quel che sono ma per quel che possono innescare, quindi… Di puttanate politiche ne ho viste parecchie, una più una meno…purché non ci portino a vivere in un vero e proprio casino.