Quando il silenzio sarebbe d’oro

Il frastuono partitico innescato involontariamente (almeno lo voglio sperare) dalle dimissioni di Mario Draghi è un’accozzaglia di excusatio non petite in quanto non accettabili e da rispedire al mittente. Nel rissoso botta e risposta non c’è infatti alcun serio ravvedimento, ma soltanto la volontà di alzare la voce per coprire i propri errori. In questo momento la cosa migliore, che i partiti potrebbero fare, sarebbe quella di starsene zitti e di riflettere. La preoccupazione purtroppo non è il recupero della situazione governativa, ma l’ansia di (ri)trovare un minimo di identità e di visibilità in vista delle elezioni.

In queste situazioni a parlare si sbaglia sempre: quando dopo aver creato un disastro si vuole rimediare si finisce inevitabilmente per accrescere ulteriormente le proprie responsabilità ed allontanare ogni e qualsiasi ipotesi di recupero.

L’unica cosa possibile sarebbe lasciare che la patata bollente torni nelle mani di chi l’aveva sbucciata, cotta a vapore e servita sul piatto italiano. Nel frattempo la patata si è bruciacchiata e quindi bisogna provare a vedere se i cuochi possano rimediare. Persino l’appello dei mille sindaci assume un carattere retorico: i protagonismi, da qualsiasi parte vengano, non sono affatto utili in questo momento.

Non ho sentito infatti nessuna parola di buon senso, ma solo sparate demagogiche e tattiche, nel migliore dei casi parole di circostanza. Questa breve pausa, che doveva essere di riflessione, è in realtà di baccano e non aiuta certamente a decantare la situazione. Il governo Draghi ha messo a nudo fin dal suo inizio tutti i limiti e difetti dell’attuale classe politica. Avrebbe dovuto però aiutare la politica a riprendersi il ruolo che le spetta, invece le forze politiche, recalcitranti, hanno preferito giocare a nascondino dietro Draghi per attaccarlo o per difenderlo. Adesso che rischia di andarsene a casa, sono preoccupati di perdere il gioco, che stavano irresponsabilmente facendo.

Sulla eventuale campagna elettorale graverà il macigno del governo Draghi, non so se in carica per il disbrigo degli affari correnti o se governo-emerito. La politica rivendica il suo ruolo, ma non basta alzare la voce pe recuperare credibilità. Si scontrano due paure uguali e, per certi versi, contrarie: quella di essere additati come disfattisti del governo e quella di essere considerati timorosi delle urne. Prevalgono le riserve mentali, nessuno riesce ad esprimersi con lealtà e correttezza. Questa è la penosa impressione a carico dei cittadini, che non sono senza peccato, ma che prima o poi scaglieranno le loro pietre.

Sono curioso di vedere come andrà a finire in Parlamento nel merito e nelle procedure: speriamo non ne esca una indegna gazzarra anticostituzionale. Le ipotesi su cui i commentatori si esercitano sono tante: dimissioni ignorate, dimissioni ritirate, dimissioni ribadite; governo Draghi rimesso in carreggiata, governo Draghi bis, governo Draghi di mera transizione, governo Draghi per gestire le elezioni, altro governicchio balneare di qui alle elezioni anticipate. Sembra un riassunto di prassi istituzionale sulla pelle della gente, che non ci capisce niente o capisce tutto.

Se, come diceva una importante funzionaria ministeriale di mia conoscenza, anche la forma è sostanza, c’è però da chiedersi: può bastare la forma quando non c’è la sostanza? Spero che la sostanza trovi forma e questo può succedere solo in una virtuosa combinazione tra Sergio Mattarella e Mario Draghi. Per favore lasciateli fare e non parlate loro nella mano. Attendo con ansia le dichiarazioni ufficiali di Mario Draghi, spero che offrano qualche spiraglio di recupero, auspico la longa manus di Sergio Mattarella, temo, anzi sono letteralmente terrorizato dall’eventuale dibattito parlamentare che ne potrà scaturire. Per me, appassionato alla politica ed al dialogo politico è una drammatica “pre-sconfitta”. Evviva comunque la democrazia!