Ponti d’oro ai tradizionalisti, tagliare i ponti agli innovatori

Ha fatto discutere la liturgia eucaristica avvenuta al termine di un campo di volontariato a Crotone, organizzato da Libera (l’associazione fondata da don Luigi Ciotti).  Qui il giovane sacerdote ambrosiano, viceparroco della Comunità Pastorale San Luigi Gonzaga di Milano, ha portato i suoi ragazzi a trascorrere alcuni giorni tra escursioni e incontri sulla legalità, al termine dei quali, è stata celebrata la messa. Non in chiesa, come spiega il sacerdote: «Avevamo scelto una pineta di un campeggio ma era occupata da un’altra iniziativa. Faceva molto caldo e così ci siamo detti: perché non fare la Messa in acqua? Una famiglia che si trovava nei pressi ci ha sentito parlare ed ha messo a disposizione il loro materassino che abbiamo trasformato in altare. È stato bellissimo anche se ci siamo scottati».

La scottatura non l’ha provocata il sole, ma la reazione dei tradizionalisti di turno e delle autorità gerarchiche intervenute al riguardo. Ai primi non è parso vero di sbizzarrirsi nella solita solfa aprioristicamente squalificante di ogni e qualsiasi tentativo di coniugare coraggiosamente il sacro col profano.

I secondi, la diocesi di Crotone-Santa Severina in una nota rilanciata integralmente dalla diocesi di Milano, hanno preferito nascondersi dietro il dito canonico, ricordando «che la celebrazione eucaristica e, in generale, la celebrazione dei sacramenti possiede un suo linguaggio particolare, fatto di gesti e simboli», che è da «rispettare e valorizzare, senza rinunciarvi con troppa superficialità».

Si è scomodata persino la Procura della Repubblica di Crotone, che ha aperto un fascicolo avviando indagini per «offesa a una confessione religiosa» in relazione «all’episodio di una presunta celebrazione religiosa svolta nel mare antistante la spiaggia cittadina e le cui immagini sono state diffuse dai mass-media – come informa una nota dello stesso ufficio giudiziario calabrese –. Gli accertamenti sono stati delegati alla Digos di Crotone».

Tanti ingiustificati attacchi hanno indotto il sacerdote a chiedere scusa, chiarendo  come non fosse assolutamente sua intenzione banalizzare l’Eucarestia né utilizzarla per altri messaggi di qualunque tipo: si trattava semplicemente della Messa a conclusione di una settimana di lavoro con i ragazzi che hanno partecipato al Campo e il contesto del gruppo (ragazzi che per una settimana hanno celebrato e lavorato con me) mi è sembrato sufficientemente preparato per custodire la sacralità del Sacramento anche nella semplicità e nella povertà dei mezzi». Tuttavia, riconosce don Mattia, «i simboli sono forti, è vero, e parlano, a volte anche in maniera diversa da come vorremmo. È stato ingenuo da parte mia non dare loro il giusto peso. Vi assicuro che non sono mancate l’attenzione e la custodia alla Parola e all’Eucarestia, ma fuori contesto la forma è più eloquente della sostanza e un momento di preghiera vissuto con intensità e significato dai ragazzi lì presenti ha urtato la Fede di molti: ne sono profondamente amareggiato». Il sacerdote definisce «bellissimo» il comunicato della diocesi di Crotone e Santa Severina, «rilanciato anche dalla nostra», per poi concludere dettagliando le sue scuse: «Riconosco di aver mancato nell’attenzione necessaria alla valorizzazione di un Mistero così grande e così indegnamente affidato alle nostre umili mani. Ho sempre vissuto la celebrazione eucaristica con profonda consapevolezza dell’immenso Mistero di amore che esso cela e veicola e in otto anni di ordinazione quella è stata la prima volta che non ho indossato almeno camice e stola. Ma mi rendo conto che anche solo una volta è di troppo. Chiedo umilmente scusa dal profondo del cuore anche per la confusione generata dalla diffusione mediatica della notizia e delle immagini: non era assolutamente mia intenzione che avesse tale risalto, tanto che per la celebrazione avevamo scelto un luogo inizialmente isolato e lontano dagli ombrelloni (anche se poi qualche persona, avendoci visti da lontano, si è aggiunta alla celebrazione)». Un ultimo episodio aggiunge don Mattia a conclusione della sua lettera. «Nella Messa che lunedì pomeriggio ho celebrato in chiesa in parrocchia a San Luigi ho chiesto perdono al Signore per la mia superficialità che ha fatto soffrire tanti. Spero che possiate comprendere le mie buone intenzioni, macchiate da troppa ingenuità, e accettare la mia sincera richiesta di perdono. Con una preghiera per la nostra Chiesa e per tutti noi, don Mattia».

Esprimo grande rispetto e ammirazione per questo sacerdote, per la sua umiltà e sincerità, anche se considero la sua una excusatio non petita, almeno da Gesù Cristo che non si sarà sentito né offeso, né banalizzato, né scandalizzato. Mi permetto di rilanciare la palla nel campo della gerarchia, quello dei tradizionalisti, del “vade retro santana”, lo considero infatti inagibile. Sono portato a ritenere opportuno ogni tentativo volto a sgelare, a “sgessare” la ritualità, riconducendola alla spontaneità. Assistiamo in televisione ai riti celebrati in Vaticano, in S. Pietro a Roma, e ne cogliamo la pesante spettacolarizzazione, abbiamo la sensazione di assistere ad assurde messe in scena degne del miglior Franco Zeffirelli (a quando, papa Francesco, una ventata di aria fresca anche in questo campo? A quando il licenziamento degli insopportabili ed impettiti maestri di cerimonie, protagonisti instancabile di un marcamento a uomo del pontefice ovunque celebri una messa?). Persino nei viaggi apostolici papali le pompose liturgie rischiano di ostacolare se non oscurare l’immediatezza dei rapporti con le popolazioni visitate. Poi entriamo in certe chiese periferiche e torniamo a terra, per constatare la routinaria pochezza di liturgie sbrigativamente ed anonimamente finalizzate solo al tagliando di adempimento del precetto festivo. Da una estremità all’altra: dalla vuota enfasi rituale alla banalizzazione precettistica. In mezzo prende le bastonate chi cerca di sperimentare, magari anche provocatoriamente e correndo qualche rischio a livello di improvvisazione, una liturgia orientata alla sostanza più che alla forma, a portare la vita concreta nella messa e viceversa piuttosto che ad ovattare i sacramenti e nasconderli fuori dalla vita vissuta. Chi non fa non falla: vale anche per la liturgia. Nella Chiesa purtroppo si preferiscono i routinier che non danno fastidio a nessuno.