Gli spaghetti politici alla puttanesca

Ho fiutato e rifiutato in anticipo la tendenza a ridurre sbrigativamente la caduta del governo Draghi ad uno schizofrenico colpo di coda pentastellato e contiano in particolare. Se fosse tutto così semplice, lo stupidario grillino sarebbe miseramente fallito e Giuseppe Conte sarebbe rimasto con un palmo di naso e un pugno di mosche in mano. È andata anche così, ma c’è dell’altro dietro le vicende politiche di questi ultimi giorni sfociate non a caso nelle elezioni anticipate.

Da tempo il centro-destra governista non riusciva a nascondere la propria insoddisfazione politica, dovuta a diversi fattori. Innanzitutto rimanere allineati e coperti dietro Draghi poteva comportare il rischio di fare da quinta colonna al Pd ed al suo campo largo: da una parte l’inarrestabile emorragia dei voti grillini rischiava di prendere la strada lettiana; dall’altra parte Forza Italia rischiava di venire assorbita, almeno a medio termine, nel disegno filo-draghiano di una coalizione “ursula”; dall’altra parte ancora, Salvini con la sua Lega di piazza rischiava di essere devitalizzato dalla rendita di (op)posizione e dalle mire espansionistiche di Giorgia Meloni.

In secondo luogo il governismo poteva finire col compromettere ogni e qualsiasi velleità di egemonia destrorsa, logorandone la vena populista e spuntandone le armi della protesta e dell’insoddisfazione sociale, consegnando a Fratelli d’Italia la fiaccola olimpica della maratona verso palazzo Chigi.

A buttare all’aria il fragile equilibrio c’era il rischio di venire bollati come disfattisti in un clima assai favorevole a Draghi ed al suo governo. Ad evitare questo pericolo è venuto in soccorso il M5S, attirando su di sé tutte le colpe e servendo su un piatto d’argento la possibilità di sfilarsi senza colpo ferire. Era un’occasione da prendere al volo e il fiuto politico di Salvini e Berlusconi non se la è lasciata scappare.

Intendiamoci bene, era un disegno ben preciso e supportato da sondaggi e analisi prospettiche, che ha trovato uno sbocco molto favorevole nell’immediato. Potrebbe essere addirittura troppo presto: ora o mai più, si saranno probabilmente detti.

E la gente cosa fa? Come don Pasquale: vede e tace, quando parla non s’ascolta. La reazione negativa verrà smaltita in pochissimo tempo, surclassata da alcuni colpi propagandistici ben assestati: il freno all’immigrazione, la bandiera della sicurezza, le tasse da diminuire, le corporazioni da difendere, i vincoli europei da bypassare, l’inflazione da combattere, etc. etc. In due mesi il colpo è fatto. Poi si vedrà…

Mario Draghi ha detto: “La mobilitazione di questi giorni da parte di cittadini, associazioni, territori a favore della prosecuzione del Governo è senza precedenti e impossibile da ignorare”. Probabilmente si autosfarinerà e rimarrà un episodio che Draghi potrà mettere nella sua cassaforte esistenziale per essere raccontato orgogliosamente a nipoti e pronipoti.

E l’Europa? Se ne dovrà fare una ragione: punteremo all’europeismo d’accatto. C’è posto per tutti in una Ue senza spina dorsale, dove ognuno fa i cazzi suoi. E poi, un qualche personaggio spendibile a questo livello si trova sempre, ammesso e non concesso che i leader politici vogliano rimanere nell’ombra per non scottarsi.

Questa sarà la campagna elettorale. Il centro-sinistra tenterà di rilanciare la carta Draghi, ma sarà difficile che lui accetti una simile sfida, anche perché quel che rimane dell’elettorato di sinistra avrebbe molto da ridire su una simile scelta tattica.

Mi sono chiesto: perché Draghi e Mattarella hanno gettato la spugna? Non credo si sia trattato di stanchezza in corso d’opera, di mancanza di furbizia politica da parte di Draghi, di logoramento presidenziale da parte di Mattarella. Con ogni probabilità hanno capito che stava venendo avanti un disegno ben preciso e che non era il caso di contrastarlo, non si poteva fare altro che tentare di evidenziarlo e di “sputtanarlo”. Siccome però era portato avanti con piglio puttanesco o puttaniere come dir si voglia, si è imposto in Parlamento e potrà imporsi anche nelle urne. Aveva ragione Mattarella a non volerne sapere della rielezione: lo hanno preso per il sedere due volte, accettando il “suo” governo per poi abbandonarlo sul più bello, costringendolo a rimanere al Quirinale per poi fargli fare la parte del notaio. Capisco la sua eloquente espressione di sofferta impotenza.

Gli italiani hanno la memoria corta, i dissidenti avranno vita breve, le colpe dei padri destrorsi ricadranno sui figli prodighi pentastellati, il centro-sinistra farà bella figura, ma perderà. Non basteranno i convertiti al governismo per sconfiggere l’orda dei miscredenti. Non basteranno i padri nobili della Costituzione per difenderci dagli assalti alla democrazia. Il problema non sono le elezioni anticipate in se stesse, ma quello che ci riserveranno.

Succederebbe quanto ha scritto Paolo Flores d’Arcais, un commentatore politico non certo tenero con Mario Draghi: “Peggio del governo Draghi sarebbe, oggi, la caduta del governo Draghi. Che significherebbe (“principio di realtà”) elezioni a fine settembre con una legge elettorale indecente, che costringe a coalizioni contro natura al solo scopo di far bottino, e regalerebbe all’Italia, tra meno di tre mesi, un governo Meloni-Salvini, o Salvini-Meloni, a seconda della distribuzione in consensi della sciagura. Che dunque affiderebbe l’Italia a una coalizione che ha in odio la Costituzione repubblicana nata dalla Resistenza. Con una maggioranza, dato l’iniquo sistema elettorale, che potrebbe sfregiarla, questa Costituzione che ci ha tutelati come cittadini liberi per tre quarti di secolo a usbergo di governi reazionari, senza neppure passare per il giudizio di un referendum”.

Dopo aver fiutato la puzza di bruciato, dopo aver rifiutato prospettive molto pericolose per la democrazia, non mi rimane che rifiatare: resto ancorato al palo dell’ultimo dei giusti, sperando che un po’ della giustizia testimoniata da Sergio Mattarella possa restare a galla e ci salvi dal peggio che si sta profilando.