Da ospite d’onore a convitato di pietra

Bruno Tabacci, 75 anni, mantovano, sottosegretario alla presidenza del Consiglio del governo Draghi con delega alla programmazione e coordinamento economico, è stato presidente della Regione Lombardia dal 1987 al 1989 e dal 2013, è presidente di Centro Democratico, un partito politico fondato nel 2012.

In una intervista rilasciata al quotidiano “La stampa”, pubblicata il 19 luglio 2022 all’immediata vigilia della “fiducia distruttiva” parlamentare a Mario Draghi e con l’aria di crisi di governo irrimediabile che si tagliava a fette, alla domanda “E il fronte progressista, privato dei 5 stelle di Conte, come dovrebbe prepararsi alla campagna elettorale” rispondeva: «Sarà un confronto decisivo per il futuro dell’Italia, nessuno può pensare di fare l’osservatore. E se vi fosse un’impostazione seria dell’offerta politica, l’esito delle elezioni non sarebbe scontato. Ci vorrebbe uno schieramento ampio di centro-sinistra, che si ispiri ai progressisti, agli ambientalisti, alle forze più responsabili del Paese – ben rappresentate dall’appello dei sindaci – e che guardi all’asse atlantico come punto di equilibrio dell’assetto mondiale. Con in cima al programma l’attuazione del Pnrr, una grande sfida che ci tiene impegnati per quattro dei cinque anni della prossima legislatura. E questo schieramento dovrebbe sottoporre agli elettori l’impegno che, se vincerà, proporrà a Mattarella come premier Mario Draghi».

Le elezioni politiche anticipate sono diventate la (triste) realtà e il problema sembra ruotare ancora attorno a Mario Draghi, da deus ex machina dell’emergenza governativa a convitato di pietra per la prossima legislatura. La domanda posta a Tabacci resta valida tutt’ora: “E secondo lei Draghi accetterebbe questa investitura?”. Ecco la risposta: «Ma perché? Forse c’è bisogno dell’accettazione preventiva? Un anno e mezzo fa di fronte alla chiamata del capo dello Stato, un uomo delle istituzioni come Mario Draghi poté dire di no? Noi riteniamo che il programma di questa coalizione possa essere l’azione di governo e che la figura giusta per rappresentarla a Palazzo Chigi sia la sua».

Sorge immediatamente il dubbio che il tutto possa diventare una splendida finzione teatrale propinata agli elettori sotto mentite spoglie. L’obiezione non si è fatta attendere: “Sarebbe possibile coinvolgerlo senza gettarlo nella mischia della campagna elettorale?”. Obiezione respinta: «Certo che sarebbe possibile, se il centrosinistra indicasse questa intenzione e si muovesse coerentemente. E del resto, il Pd e la sinistra sono state le forze più funzionali al suo governo. Non si può negare che Letta si sia comportato in modo coerente».

Non c’è dubbio che il fantasma di Draghi aleggi sulla campagna elettorale del centro-sinistra: un po’ per celia e un po’ per non morir. Per celia, in quanto sarebbe quasi ridicolo che Draghi accettasse un ritorno in sella cambiando l’animale da soma: da un cavallo pur pazzo ad un asino docile. Per non morire, perché la scelta di sostenere Draghi appare più come un’istintiva manovra di sopravvivenza che come una scelta di linea e contenuti programmatici e metodologici.

Non credo che Draghi ceda alla tentazione del potere e si faccia incapsulare ed etichettare politicamente: sconfesserebbe la sua azione precedente e diventerebbe un uomo di parte anche se non di partito. Forse sarebbe meglio per tutti che lui stesso chiarisse fin da principio la sua totale indisponibilità, così come avrebbe dovuto fare quando gli cominciarono a tirare la giacca per il Quirinale.  L’operazione Draghi voluta da Mattarella aveva ben precisi presupposti emergenziali da tutti i punti di vista, politico in primis. Ora che volenti o nolenti la politica è chiamata a riprendere in mano la situazione, la riedizione del premierato draghiano avrebbe un senso di minestra riscaldata, anche se gastronomicamente saporita e finanche appetitosa.

Quando a livello professionale decisi di dimettermi dalle funzioni dirigenziali che svolgevo, ebbi un coro di insistenti e consolanti inviti a rimanere al mio posto. Ricordo che una voce, a costo di rimanere fuori dal coro, pose una domanda autocritica: “Vogliamo che lui rimanga per il nostro bene o per il suo bene?”. Gli innumerevoli partiti e partitini rientranti nell’area di centro-sinistra intendono riproporre Draghi per il bene suo e dell’Italia o per il loro bene? Se si rifugiano opportunisticamente e strumentalmente all’ombra di Draghi non fanno un servizio al Paese.

C’è poi il dubbio amletico se Draghi sia o meno un politico. Bruno Tabacci così conclude la sua intervista: «Qualcuno davvero pensa che Draghi non sia un politico? Lo è da tempo ed ha anche un taglio sociale di grande evidenza».  Io penso davvero che non abbia la stoffa del politico anche se sono perfettamente consapevole che oggi, più che mai, la politica debba essere coniugata con la preparazione, la competenza e l’esperienza tecnico-professionale. C’è bisogno comunque di quel “più x”, fatto di sensibilità e rappresentatività, che non mi sembra rientri nelle doti peraltro notevoli di Draghi. Che poi abbia un taglio sociale di grande evidenza…mi sembra un’affermazione un po’ avventata. In fin dei conti, al di là delle imboscate pentastellate, dei bastoni leghisti fra le ruote, dei vergognosi ripensamenti berlusconiani, il motivo fondamentale della precarietà e della debolezza draghiane è consistito non tanto nella incapacità di manovrare i rapporti interpartitici, ma nell’inadeguatezza a gestire una profonda riforma del Paese, che andasse oltre la drammatica e difficilissima gestione dell’emergenza. Il centro-sinistra lo ha sostenuto in modo superficiale ed acritico finendo con l’indebolirlo ulteriormente. Ora vuole attaccare il cappello su di lui per sfruttarne la capacità di traino a livello interno ed internazionale. Non è un atteggiamento né serio né costruttivo.

Ricordiamoci che il Pnrr, che tutti citano continuamente come toccasana per tutti i mali possibili e immaginabili, non è la riforma dell’Italia, ma l’approvvigionamento di risorse utili alla riforma. Essere capaci di finanziarsi non vuol dire automaticamente avere idee chiare e capacità coraggiose di cambiare le cose.