Lo “sputinamento” di Salvini

La Conferenza dei presidenti del Parlamento europeo ha deciso di includere, su richiesta dei Socialisti e democratici, nell’agenda della Plenaria del 23 giugno un dibattito sulle relazioni del governo e della rete diplomatica russa con i partiti della destra europea nel contesto della guerra. Lo rendono noto Simona Bonafè, vicepresidente del gruppo S&D, e Pierfrancesco Majorino, coordinatore del gruppo S&D nella Commissione speciale sulle interferenze straniere nei processi democratici (Inge). “I rapporti tra Matteo Salvini e la Russia sono sempre stati pericolosi ed inquietanti, ma lo sono ancora di più adesso con una guerra in corso”, spiegano.

“Non è la prima volta che i rapporti di Salvini con Putin sono esaminati dal Parlamento europeo, già nel corso dei lavori della Commissione sulle interferenze sono emersi elementi molto netti sull’opacità di queste relazioni, espressi anche nella risoluzione finale” continuano Bonafè e Majorino. “Adesso la notizia degli incontri nell’ambasciata russa nei giorni successivi all’invasione dell’Ucraina conferma tutte le preoccupazioni già espresse con l’enorme aggravante dell’inserirsi in un contesto internazionale delicatissimo e drammatico”, aggiungono gli eurodeputati.

La notizia (tratta dal sito de La Repubblica) suscita più ironia compassionevole che allarmante inquietudine. Salvini è in obiettiva e indiscutibile difficoltà, la sua leadership leghista scricchiola assai, il suo appeal è in netto declino: come tutti i politici che (non) si rispettano, ha bisogno di affidarsi alla politica estera per tentare di coprire le magagne nella politica interna.

Buttare la croce addosso a lui è però un esercizio di dubbio gusto: di rapporti poco trasparenti con Putin e il suo regime è piena la storia europea e mi aspetto che, perso per perso, prima o poi Putin apra i cassetti e gli armadi per “sputinare” o sputtanare parecchi personaggi che oggi si fanno belli contro l’autocrate del Cremlino.

Le recenti mosse Salviniane (che peraltro non sono una novità) aperturistiche verso Mosca hanno il sapore di un “papeete” riveduto e scorretto (come insinua acutamente La Stampa), di un dispettoso capriccio infantile verso il governo Draghi (il premier non dimostra di essere molto preoccupato al riguardo), di una strizzata d’occhio all’insofferenza verso un conflitto sempre più ideologicamente lungo ed economicamente invasivo, di un contentino parolaio a chi soffre la crisi economica e vorrebbe uscirne in qualche modo (l’esito delle vicine elezioni amministrative e dei referendum sulla giustizia potrebbero essere un piccolo banco di prova).

Non vedo proprio niente di pericoloso e di pregiudizievole per l’Italia e l’Europa. Salvini deve però stare attento perché, al di là di tutto, sta pisciando contro vento: l’aria bellicista che tira non ammette obiezioni più o meno serie. In questo momento chi tocca la guerra e Draghi rischia di fare politicamente una brutta fine.

I casi sono due: o Salvini vuole buttare il prete leghista nella merda politica (ne scorrono fiumi) oppure si illude di interpretare il generico malcontento serpeggiante nel Paese (tutti lo colgono e nessuno lo ammette).   Le ultime elezioni politiche del 2017 premiarono i due partiti anti-tutto: il M5S e la Lega. Forse stanno provando a fare il bis, strumentalizzando l’insofferenza verso l’appiattimento bellicista e il malcontento per le prospettive di una crisi molto preoccupante nonché cavalcando quel paradossale bisogno sotterraneo di politica vera che si respira in giro (a destra e a sinistra).

La “criminalizzazione” di Salvini mi sembra un diversivo polemico, un mezzuccio dialettico, un tranello mediatico. Certo a chi fa una politica di “bassa Lega” può capitare tutto ciò. I dirigenti leghisti più acculturati e smagati si stanno accorgendo del tunnel in cui il loro scomodo leader li ha infilati: hanno visto nel governo Draghi il modo per affrancarsi dalla più sterile delle opposizioni, forse ora vedono nell’adesione al pensiero unico, più “occidentalista”che occidentale, il modo per disfarsi definitivamente di un capo senza capo né coda.

Se devo essere sincero Matteo Salvini, che peraltro sul piano umano non mi è mai stato antipatico, comincia a suscitare in me un certo coinvolgimento emotivo. È infatti “cme ‘n can in céza”. “Quand as diz «dai a col can», tutt igh’dan adòs”. Per me invece è la volta buona per essere tentato di difenderlo.