Le armi come da copione

Ho seguito con una certa attenzione, più viscerale che mentale (devo ammetterlo), il dibattito parlamentare sulle dichiarazioni di Mario Draghi in vista della sua partecipazione al Consiglio d’Europa: mi associo al giudizio di Massimo Cacciari che lo ha definito “penoso”. Era in ballo, volenti o nolenti, la linea di politica estera italiana.

Lasciamo perdere il fatto che fosse influenzato dal regolamento di conti voluto da Conte e/o Di Maio in casa grillina: che il maggior partito sia allo sfacelo non dovrebbe suscitare ilarità o sollievo, ma preoccupazione. Proprio il già citato Massimo Cacciari, agli albori del movimentismo pentastellato, aveva profetizzato come dietro l’affascinante e travolgente “vaffanculeggiamento” di Beppe Grillo non ci fosse niente. La previsione si è avverata: Conte e Di Maio altro non sono che un tentativo mal riuscito di riempire il vuoto. Solo Enrico Letta si ostina a non prenderne atto.

Al di là della crisi grillina, peraltro goffamente motivata con un rigurgito di dignità e vitalità parlamentari, si è constatata una distanza incolmabile esistente tra la classe politica e le aspettative della gente. È pur vero che la nostra è una repubblica parlamentare, ma ciò non significa che il parlamento se ne debba fregare altamente degli umori di un Paese affogato nei problemi. I cittadini non sono d’accordo sulla linea politica del governo in materia bellica: è evidente. E allora che senso ha fugare ogni e qualsiasi dubbio alzando la posta in gioco e nascondendosi dietro l’assoluta fedeltà alla Nato? Che senso ha appiattirsi su un nominalistico europeismo di facciata lasciando che l’agenda bellicista la dettino gli Usa? Che senso ha fare della retorica occidentalista in un mondo di cui l’Occidente non può più essere l’ombelico? Che senso ha schierarsi con Davide, mandandogli scorte sempre più consistenti di fionde e sperando che possano bastare a prevalere su Golia?

A livello istituzionale non è il parlamento che determina l’indirizzo del governo, ma è il governo che detta il compito al Parlamento (lo ha affermato con una bella provocazione il capo-gruppo leghista al Senato). Anziché scandalizzarsi per le pur pretestuose avance contiane, non era meglio togliere al M5S la parte in commedia per fare una seria ed articolata analisi critica della situazione? Invece, tutto bene quel che sta finendo male. Possibile che nessun parlamentare esprima seri dubbi di coscienza per una escalation militare vissuta come giusta ed inevitabile?

Possibile che il partito democratico non riesca a fare altro che il ventriloquo del governo e l’acritico difensore della governabilità draghiana? È pur vero che questo partito non possa e voglia rispondere più ai canoni tradizionali della sinistra, ma allora cosa sta diventando? Un partito di quasi sinistra che guarda al centro? Il partito della contiguità più che della continuità occidentale?

Si sta profilando uno strano panorama politico in cui la destra vuol fagocitare il centro alla sua portata di mano e la sinistra invece pure. Forse ha ragione Cacciari quando sostiene che il Pd è il partito che funziona nei rapporti internazionali con le altre potenze occidentali. Un partito sostanzialmente conservatore, aggiungo io, che lucra sulla conventio ad excludendum europea nei confronti di Giorgia Meloni.

Due parole su Mario Draghi: ha incassato un voto a larga maggioranza su una risoluzione che dice tutto e niente, che parla di iniziative di de-escalation militare e maggiore coinvolgimento delle Camere, ma che conferma le cessioni di forniture militari a Kiev. È uscito rafforzato o indebolito da questa penosa prova parlamentare? In oltre un anno di presidenza del Consiglio non gli ho mai sentito dire una parola col cuore: un’intelligenza tecnico-burocratica prestata alla non politica. Qualcuno lo considera come una sorta di ripiego di lusso, di meglio ad evitare il peggio. Quando mi permisi di tifare per lui, non avevo una simile idea: pensavo che potesse prendere la politica per mano, invece la sta prendendo per il naso.