Devo ammettere che da parecchio tempo non mi interessavo tanto della politica parmense così come mi è successo di fare durante la recente campagna elettorale in vista dell’elezione del sindaco e del consiglio comunale. È proprio vero che la politica è una malattia da cui non si guarisce. Forse ho sprecato del tempo, forse ho fatto la prova del nove del persistente fumo ducale, forse si è trattato solo di una irrefrenabile nostalgia.
Parma in questo periodo è diventata un autentico ospedale in cui sono stati malamente diagnosticati e curati i mali della politica vista attraverso la radiografia amministrativa. La città è stata dimessa in qualche modo, ma è tutto da verificare che sia sulla strada della guarigione.
Le è stata somministrata una dose massiccia di “civismo” a livello di “placebo” che si è trasformato nel “nocebo” dell’astensionismo. A completamento della metafora, ai cittadini ha fatto ancor più paura la medicina della malattia e hanno preferito non prendere in considerazione la finta terapia accettando la cronicizzazione della vera malattia. Fuor di metafora, hanno considerato il tutto come una recita fasulla dietro cui si è nascosta la politica con tutte le sue magagne.
A chi lo racconta Pietro Vignali di essere il capofila di una lista civica? Ha perso perché le forze politiche a lui vicine lo hanno letteralmente e sadicamente sbranato non riconoscendolo come una loro espressione verace, ma come una minestra scaldata o addirittura rancida. La città, da parte sua, se lo è ritrovato fra i piedi travestito da candidato civico a copertura di indiscutibili fallimenti di un passato troppo recente per essere dimenticato.
A chi lo racconta Michele Guerra di essere il frutto di una virtuosa combinazione tra nuovismo, pizzarottismo, lettismo, bonaccinismo e salottismo? La città ha fatto finta che fosse il meglio del peggio e, come tale, lo ha votato a denti stretti, chi con l’illusione di ritrovare un po’ di sinistra e/o di socialità, chi con l’idea di portare la cultura al Duc, chi accettando la politica come l’arte di dire formalmente bene il nulla sottostante.
In realtà Vignali ha perso perché a destra la politica ha fatto cilecca nonostante i sondaggi la diano vincente, mentre Guerra ha vinto perché a sinistra la politica ha battuto un colpetto con un rassicurante e “draghiante” partito democratico. Il resto sono tutte balle che stanno in poco posto, vale a dire nel civismo e dintorni che dura l’espace d’un matin.
Di fronte a simili manfrine non potevo che astenermi senza bisogno di andare al mare per trovare una giustificazione (non) plausibile. La commedia è finita (?).