Si dice che le guerre rafforzino le dittature e indeboliscano le democrazie. Al di là della semplicistica generalizzazione, che ha certamente qualche obiettivo riscontro storico, a margine della guerra russo-ucraina stiamo assistendo ad una notevole capacità di assorbimento da parte del muro di gomma putiniano, mentre scricchiolano i muri di pietra occidentali.
Joe Biden, nonostante il suo bullismo, insistito ma artificioso, non se la passa bene in vista delle prossime elezioni di mid-term: ha il fiato sul collo di Donald Trump, assai più capace di mostrare i denti e di alzare la voce (di abbaiare, se vogliamo usare un termine opportunamente scelto da papa Francesco).
Olaf Scholz non è certo un cancelliere di ferro. Pur essendo a capo di una gross koalition a tenuta piuttosto stagna, è oscillante e affetto da pendolarismo assai poco ideale e molto speculativo: un vaso di coccio in mezzo ai vasi di ferro.
Mario Draghi ha le sue difficoltà politiche nei rapporti con una maggioranza di governo larga ma rabberciata, con qualche forza (?) politica che gli ronza attorno dandogli qualche fastidio. C’erano una volta, tanto tempo fa, un elefante e una mosca che volevano giocare a palla. L’elefante cercava di prendere la palla ma scivolava e inciampava nella sua proboscide e la mosca rideva, rideva e lo prendeva in giro. Anche la mosca cercava di prendere la palla ma non ci riusciva perché era troppo piccola e l’elefante rideva, rideva e la prendeva in giro. L’elefante non si arrende e prova a inspirare forte con la proboscide, la palla si attacca sul naso e così l’elefante inizia a ridere e dice alla mosca: “Hai visto che posso giocare anche io?!”. Anche la mosca non si arrende e vola molto veloce, come un fulmine, e con il movimento delle sue ali fa rotolare la palla e così la mosca inizia a ridere e dice all’elefante: “Hai visto che posso giocare anche io?!”. L’elefante e la mosca si chiedono scusa a vicenda e giocano insieme, divertendosi un mondo.
Emmanuel Macron ha perso la maggioranza assoluta in Parlamento, cosa che non lo mette fuori gioco, ma gli creerà sicuramente non poche difficoltà, stretto com’è fra la destra di Marine Le Pen e la sinistra di Jean-Luc Mélenchon. Il tanto osannato sistema istituzionale ed elettorale francese consente infatti un presidenzialismo che può governare alla faccia del Parlamento (preferisco di gran lunga il sistema italiano).
Questi sono o dovrebbero essere i tre pilastri della UE: non c’è da stare tranquilli sulla loro tenuta e sulla loro capacità di trazione, anche perché non vanno molto d’accordo e fanno un gioco di squadra che staziona a centro-campo e non va mai in goal.
Non so fin dove i risultati elettorali francesi siano stati influenzati dall’atteggiamento ondivagamente aperturista di Macron nella guerra in corso: probabilmente a destra lo giudicano troppo occidentalista e poco nazionalista, a sinistra lo ritengono troppo bellicista e poco pacifista. Fatto sta che le sue mosse dettate più da problemi di consenso interno che da strategie geopolitiche, non stanno funzionando se non a livello telefonico e ferroviario.
Quando la politica presenta il conto, non bastano il civismo d’alto bordo di Macron, l’alta professionalità di Mario Draghi e il furbo equilibrismo di Scholz. Occorre qualcosa in più, un carisma che non si forma alla Banca d’Italia e alla Bce, non si trova all’Eliseo e non si costruisce al Bundestag. Sono un nostalgico e ripenso ai bei tempi in cui in Francia c’era un certo Francois Mitterand, capace di favorire l’unificazione tedesca, in Germania il signor Willy Brandt capace di inginocchiarsi di fronte al monumento dedicato ai resistenti del ghetto di Varsavia, in Italia un personaggio dal ciuffo bianco, Aldo Moro, che voleva sdoganare i comunisti: gente che sapeva guardare al di là del proprio orticello di partito, di nazione e finanche di alleanza internazionale.
Proviamo ad immaginare se questi illustri governanti fossero oggi in sella, si confrontassero con gli Usa, andassero a parlare a Kiev con i capi ucraini e tentassero di interloquire con Putin: la storia non si fa con i “se”, ma comunque nessuno mi toglie l’idea che non saremmo arrivati al punto in cui siamo.