I burlesconi non finiscono mai

Il grande giornalista Indro Montanelli adottava un criterio sbrigativo per giudicare le persone, in modo particolare i politici: “guardategli la faccia…”. Si attaglia perfettamente a quella di Boris Johnson, il premier britannico. Mia sorella non ha fatto in tempo a visionarlo, ma sono sicuro che, se fosse ancora in vita, non esiterebbe a sentenziare: «Che facia da stuppid!». Siccome, se e quando uno è stupido, lo è sempre, Johnson non si lascia sfuggire l’occasione. Sembra che se ne siano accorti persino i suoi colleghi di Partito, i conservatori britannici. Evidentemente a loro non è bastata la faccia: se ne sono accorti in conseguenza del comportamento tenuto dal premier durante l’emergenza covid.

Boris Johnson (Bojo per amici e nemici) ha strappato il rinnovo della fiducia nella consultazione a scrutinio segreto sulla sua leadership in seno al Partito Conservatore (da cui dipende la poltrona di primo ministro britannico) innescata dalla rivolta di una parte del gruppo di maggioranza in seguito allo scandalo Partygate. Il risultato, reso noto dal presidente del Comitato 1922, l’organismo interno incaricato di sovrintendere le rese dei conti in casa Tory, ha sancito 211 voti a favore di BoJo, ma ben 148 contrari: una spaccatura che lo indebolisce e potrebbe non bastare a blindarlo nel prossimo futuro. La maggioranza richiesta era 180.

In caso di sfiducia avrebbe dovuto passare la mano a un successore interno alla forza di maggioranza da eleggere in una consultazione separata e poi lasciare a questo (o questa) anche la poltrona di premier. Boris Johnson si è salvato dal voto di sfiducia contro la sua leadership in seno al Partito conservatore britannico e può per il momento restare sulla poltrona di primo ministro, ma ha pagato dazio fra i deputati della propria maggioranza per i malumori crescenti innescati dal cosiddetto Partygate, lo scandalo dei ritrovi organizzati a Downing Street fra il 2020 e il 2021 in violazione delle restrizioni anti-Covid imposte all’epoca dal governo a milioni di britannici: scandalo che lo ha poi visto multato in prima persona dalla polizia e che sta penalizzando duramente i Tories nei sondaggi come nei test elettorali di questi mesi.

«Quello che vogliamo fare è usare questo momento, che credo sia decisivo e conclusivo, per andare avanti con la nostra agenda», ha detto Johnson mostrando di non avere nessuna preoccupazione per i 148 deputati tories, il 40% del partito, che ha votato contro di lui. La conferma della fiducia significa per Johnson che si può chiudere la pagina del Partygate per concentrarci «su quello che dobbiamo fare per aiutare la gente con il costo della vita, per mantenere le strade e le comunità più sicure» (vedi il quotidiano La Stampa).

Sotto-sotto speravo che gli inglesi avessero un rigurgito di dignità. Pensavo e speravo: più che il dolor per la politica insensata potrà il digiuno dai principi di onorabilità. Invece non è bastata la presa per i fondelli perpetrata nei confronti dei cittadini con i festini proibiti. Johnson per il momento rimane in sella e può continuare a fare cose assai più gravi dei party a Downing Street: dopo essersi affrancato dall’Unione Europea si diverte a fare il battitore libero vincendo la gara internazionale del più guerrafondaio dei premier.

Fino a ieri nel mondo anglo-sassone le teste dei politici cadevano al primo stormir di fronde scandalistiche a livello di morale privata. Johnson ha sfatato anche questa pur bigotta tradizione. Forse lo ha salvato la guerra, un totem intoccabile nella mentalità, nella storia e nella tradizione della Gran Bretagna, assieme all’altra pessima ed irritante tradizione della monarchia (la reggia di Platino non poteva essere disturbata dalla sfiducia al premier: tra chiacchierati ci si intende a meraviglia).

Bill Emmott, l’ex direttore dell’Economist ha affermato: “Boris Johnson si paragona a Churchill ma è un mix tra Trump e Berlusconi. Il dissenso nei Tories è a livelli mai visti. Londra è guidata da un leader incompetente, un problema anche per l’Ue”.

Se non erro, il giorno del primo sciagurato successo politico-elettorale di Silvio Berlusconi, l’Economist uscì in prima pagina con un titolone rivolto agli italiani: “Burlesconi”. Sono passati molti anni e siamo ancora lì. Nella mia (?) Parma corre per diventare primo cittadino un candidato impresentabile, un certo Pietro Vignali già sindaco della città, sul cui passato è meglio stendere un velo pietoso, il quale sembra stia raccogliendo grandi consensi ripresentandosi sostanzialmente come l’uomo di Berlusconi a livello economico e mediatico. Eravamo, siamo e saremo dei burlesconi: a Parma, in Italia, in Gran Bretagna e nel mondo intero.