È un puttanaio, stupido!

Vladimir Potanin chi è? L’oligarca russo per eccellenza, re del nichel e fedelissimo di Putin, che l’Occidente non può sanzionare. Non è mai entrato nelle liste nere dei Paesi occidentali, che non hanno potuto rischiare un aumento dei prezzi di nichel e palladio, materie prime fondamentali nel settore automotive.

La guerra è stata una maledizione per gli oligarchi russi, ma ce n’è uno che grazie il conflitto è riuscito addirittura ad arricchirsi. Si chiama Vladimir Potanin ed ha in mano il 15% del nichel e il 40% del palladio mondiale. Un potere sconfinato, che gli arriva dalla Norilsk Nickel, l’azienda mineraria della Russia di cui è azionista di maggioranza, e che gli ha permesso di restare immune alle sanzioni dell’Occidente. Il motivo? Nichel e palladio sono materie prime indispensabili per la fabbricazione dei microchip delle automobili. Inserire Potanin nei pacchetti di sanzioni produrrebbe l’aumento del prezzo dei due metalli, che si ripercuoterebbe su tutto il settore automotive e sull’industria dei semiconduttori.

Vladimir Potanin è arrivato ai piani alti partendo dal ministero del Commercio dell’Urss, nel quale è stato funzionario fino al 1990. Oggi è il secondo uomo più ricco di Russia e il suo successo lo deve principalmente a un fatto. Nel 1995 ha costruito il famigerato programma russo «prestiti per azioni», conosciuto pure come «furto del secolo». Già fondatore della Uneximbank, ha guadagnato miliardi in pochi anni, grazie a una collaborazione con il governo. Insieme ad altri multimiliardari finanziò il Cremlino, con la consapevolezza che quei soldi non sarebbero mai più tornati indietro. In cambio però, riuscì ad ottenere il controllo Norilsk Nickel pagandola “solo” 170 milioni di dollari, lo stesso anno in cui l’azienda registrò introiti per 3,3 miliardi di dollari.

 Con Boris Elstin presidente, raggiunse perfino la carica di vicepremier. Poi, con l’arrivo al potere di Putin, giurò fedeltà allo zar e riuscì ad entrare nelle sue grazie. Oggi è uno dei pochi oligarchi ancora ben accettati al Cremlino. Nel 2022 il rapporto tra Putin e Potanin è più saldo che mai. Giocano insieme a hockey e le proprietà del magnate non sono mai state toccate. Anzi, durante la guerra è stato l’alleato economico numero uno della Russia. Mentre gli altri oligarchi (tra cui Abramovich) hanno cominciato a subire i colpi delle sanzioni, Potanin ha sfruttato il suo patrimonio per acquistare partecipazioni nelle principali banche russe, riporta il “Financial Times”.

In questo modo, sta riportando le attività sotto la competenza del governo, in una sorta di lavoro contrario al metodo che l’ha reso uno degli uomini più potenti di Russia. Ha avuto voce in capitolo anche nel caso Tinkov, l’altro multimiliardario costretto dal Cremlino a svendere la sua partecipazione (circa il 35%) nella TCS fintech. La quota è stata ricomprata proprio da Potatin, a un valore pari 3% del suo valore. Dall’inizio della guerra si stima che il suo patrimonio sia cresciuto di circa 10 miliardi.

Ho letto questo interessante articolo sul sito de “Il Messaggero”: la dice lunghissima sul regime russo, ma anche sulla farisaica adozione delle sanzioni quale arma per difendere l’Ucraina dall’invasore. Più passa il tempo e più si comprende come queste sanzioni siano un paravento dietro cui l’Occidente sta penosamente tentando di salvare la propria merdosa faccia di convenienza e non l’Ucraina. Dietro, davanti, sopra e sotto le guerre ci stanno gli interessi economici e non mi si venga a dire che l’incazzatura occidentale è premessa per supportare la legittima difesa degli ucraini: la Russia di Putin si è montata la testa e va ricondotta non tanto alle ragioni dei rapporti internazionale basati sui diritti, ma al rispetto dell’equilibrio degli opachi interessi economici e finanziari.

Ragion per cui le sanzioni trovano un limite non nella comprensione per la cultura, l’arte, e l’economia della incolpevole (?) popolazione russa, ma nella salvaguardia degli assetti economici occidentali. Il macellaio Putin è andato benissimo finché era funzionale al sistema (in un certo periodo si parlò addirittura dell’ingresso della Russia nella Nato); quando si è rivelato per quello che era mentre si faceva finta di non sapere e vedere, è diventato il nemico da abbattere per fare un piacere all’Ucraina (di cui non frega niente a nessuno).

Colpire gli oligarchi per mettere Putin in braghe di tela: sembrerebbe la chiave di volta, l’uovo di Colombo, il modo migliore di agire. Senonché c’è un certo signor Potanin, che non può essere toccato pena mettere in crisi buona parte dell’industria occidentale.

E allora viene prima il diritto dell’Ucraina a difendere i propri confini o il diritto dell’Occidente a difendere i propri interessi? È pur vero che se va in crisi l’economia mondiale, chi potrà mai aiutare gli ucraini. Non facciamo quindi finta di essere umanitari, ma chiariamo di esserli fino a mezzogiorno dopo di che diventiamo spregiudicati difensori dei nostri porci comodi o viceversa.

Diventa sempre più retorica e insopportabile la domanda draghiana del “preferite la pace o i condizionatori accessi per tutta l’estate?”. Andrebbe quanto meno riveduta e corretta in “viene prima l’uovo dell’economia o la gallina dei diritti umani”. Checché si voglia far credere, i tempi e i modi dell’atteggiamento di reazione all’invasione dell’Ucraina sono dettati dall’economia. Ammettiamolo almeno e non facciamo i puristi anti-Putin e pro-Zelensky. In realtà siamo Potaniniani!

Temo che da questo inghippo, culturale prima e più che bellico, non se ne esca vivi. Almeno il nichel di Potanin (forse sarebbe meglio ribattezzarlo Putanin) ci serva a capire in che “puttanaio” viviamo.