La discesa in campo di Silvio Berlusconi all’inizio degli anni novanta del secolo scorso fu basata sulla debolezza della politica e della sua classe dirigente, esplosa con tangentopoli, ma da tempo latente in Italia e non solo. Berlusconi impostato un modo nuovo di fare i propri affari, rifece la bruttissima copia della Democrazia Cristiana e ripropose un paradossale ma sempre funzionante anticomunismo di maniera: occupò, anzi spadroneggiò il centro della politica italiana inglobando e divorando il centrino-rimasuglio di Casini, satellizzando il nuovo che si muoveva a destra con Alleanza nazionale di Fini al sud e con la Lega di Bossi al nord.
In questi ultimi giorni di confuse manovre centriste Berlusconi è tornato a tuonare preparando la pioggia del ritorno in pompa magna di Forza Italia fino a raggiungere il 20% dei consensi a livello elettorale. Qualcuno ha fatto immediatamente un po’ di scontata ironia, qualcun altro l’ha presa come l’ennesima provocatoria boutade del cavaliere, altri vi hanno visto una sorta di respinta presa partendo dalle disgrazie pentastellate che rimettono in circolo un ostinato malcontento rimasto senza riferimento alcuno, altri ancora un disegno politico ambizioso di ricomposizione moderata del centro-destra attualmente imbalsamato da una trazione estremista.
Qualcosa bolle nella torbida pentola del centrismo e mentre Enrico Letta si sta esercitando nell’arte di aggregare un centro-sinistra (una sorta di “ulivo” ridefinito “campo largo”), che recuperi la parte più progressista del movimentismo post-grillino, tattica messa peraltro in qualche imbarazzo dalla scissione dimaiana, Silvio Berlusconi, auspice il suo stratega Gianni Letta, tenta di ridisegnare una coalizione di centro-destra, che faccia man bassa e sconfigga le ambizioni del moderatume comunque classificabile, che metta la sordina alle velleità leghiste, che recuperi l’impresentabile Fratelli d’Italia inserendolo in un virtuoso circuito europeista.
Una piccola prova particolare di questa tattica si è vista anche in quel di Parma, laddove il candidato Pietro Vignali ha rappresentato il ritorno al passato in chiave di rilancio: ha perso, ma ha segnato una debacle elettorale leghista e un ridimensionamento delle velleità meloniane. E poi, come si suole dire: al primm cavagn al vôl bruzä.
C’è o no aria di restaurazione berlusconiana in giro per l’Italia? Ascoltando gli interventi in Parlamento durante l’ultima discussione sulla linea governativa stupiva come i due partiti più draghiani di Draghi fossero Forza Italia e Partito democratico. Entrambi si rendono conto di non potere arrivare a coalizioni omogenee con cui governare in futuro e quindi si rassegnano, più o meno convintamente, a sostenere Mario Draghi a tempo indeterminato, accontentandosi di spartire l’area politica in un bipolarismo debole, ma necessario alla sopravvivenza del Paese in tempi sempre più duri e difficili.
Tutti coloro che scalpitano in area centrista per rimettere in discussione gli equilibri si dovranno rassegnare alla confluenza forzosa in una di queste aree: la peggiore realizzazione possibile e immaginabile della terza fase di morotea origine. La compresenza di due botteghe in cui comprare con prezzi predefiniti da Mario Draghi. E poi si parla di elettorato demotivato, stanco ed astensionista. Ce ne vorrebbe…
Massimo Cacciari sostiene che il “campo largo” lettiano sia finito forse ancor prima di nascere. Non ne sarei così sicuro. Così come non sarei snobisticamente sicuro che Berlusconi stia farneticando. Al peggio non c’è mai un limite.
Nei “Promessi sposi” di Alessandro Manzoni, il conte zio (così come il padre provinciale, che è la sua figura corrispondente nel campo religioso) è l’incarnazione dell’orgoglio e del puntiglio, che condizionano ogni relazione sociale e ogni comportamento. Gianni Letta, che manco a farlo apposta è zio di Enrico Letta, il quale all’occorrenza potrebbe fare la parte del padre provinciale, è l’incarnazione del berlusconismo perpetuo in cui siamo (s)finiti: a destra, a sinistra, al centro. Faccio mio il sarcastico “evviva” sussurrato da Lucio Caracciolo a “otto e mezzo” di fronte alle prospettive di rinascita berlusconiana. Forse non si tratta più tanto di berlusconismo, ma di lettismo di una (ig)nobile accoppiata fra zio e nipote. A proposito di lettismo, il cavaliere, che di letti se ne intende, sta passando da quelli delle voraci olgettine a quelli delle tattiche di zio e nipote. Devo essere sincero: non so quali di questi letti siano i più scandalosi.