Un Brindisi a Lavrov

Nel corso di un colloquio telefonico avuto con il primo ministro israeliano, Naftali Bennett, il presidente russo, Vladimir Putin, si è scusato per le frasi sulle origini ebraiche di Hitler pronunciate dal ministro degli Esteri, Sergei Lavrov. Lo ha riferito l’ufficio di Bennett, secondo quanto riportano i media israeliani: il premier ha accettato le scuse e ha ringraziato Putin per aver chiarito le sue posizioni riguardo al popolo ebraico e la memoria dell’Olocausto.

Lasciamo stare le code di paglia di Israele e quindi la sua reazione stizzita molto comprensibile, volta a difendere e celebrare il tormentoso ricordo della “shoah”, mai sufficientemente rivisitata e condannata, che tuttavia non copre il presente assai discutibile dei comportamenti israeliani nei rapporti coi palestinesi e con tutto il resto del mondo (Russia compresa, sopportata quale male minore negli equilibri mediorientali).

È stata così archiviata in fretta e furia per motivi di reciproca realpolitik, la “cazzata” lavroviana, forse da considerare come un semplice artifizio dialettico studiato per distrare l’attenzione dai veri ed autentici misfatti russi già compiuti, che si stanno ancora compiendo e solo Dio sa quando mai potranno finire. I fantasmi di un tremendo passato possono paradossalmente alleggerire la realtà presente.

Tutta la vicenda dell’intervista a Lavrov è stata l’occasione per discutere del sesso degli angeli: era opportuno che una televisione occidentale facesse questo inutile scoop?  è corretto in piena bagarre bellicosa dare clamorosamente voce al “nemico”? c’erano dei secondi fini in questa estemporanea iniziativa editoriale: Berlusconi con una sua Tv allunga ancora la mano all’amico di un tempo ed a quale inconfessabile scopo? quali sono le regole di un giornalismo corretto? viene prima la gallina che dovrebbe fare le uova di un’informazione obiettiva o l’uovo di un’informazione spregiudicata che rischia di essere fine a se stessa? quando si intervista un qualsiasi personaggio politico bisogna fare l’eco delle sue idee o bisogna criticarle anche aspramente?

Si è scatenata questa stucchevole tempesta nel bicchiere Retequattro/Lavrov/Brindisi, che è servita soltanto a chiacchierare retoricamente del più e del meno, dimenticando il gran busillis della guerra in atto o, se volete, della pace da ricercare come ago nel pagliaio della guerra.

Più o meno tutti i media, con qualche rara e ammirevole eccezione, stanno sprecando ore di trasmissione per spiegare quanto brutta e sporca sia la guerra, dedicando poco spazio alla individuazione delle sue cause prossime e remote e ancor meno spazio alle prospettive di pace, preferendo appiattirsi sulla rassegnazione bellica e sul pedissequo e manicheo schierarsi dalla parte del più debole (Ucraina) peraltro aiutato dal più forte (Nato).

Così come la scena pandemica era ed è occupata dai virologi, quella bellica è occupata dagli analisti geo-politici, mentre tuttora si continua a morire di covid e mentre muoiono civili e militari in una guerra che riassume in sé tutte le assurdità di tutte le guerre di tutti i tempi. Se qualcuno si permette di alzare il ditino o la manina per introdurre qualche dubbio atroce sulla inevitabilità di questa situazione viene immediatamente tacitato come amico del giaguaro (Putin), come ingenuo ed illuso pacifista (vedi papa Franceso, lo si pensa anche se non si ha il coraggio di dirlo), come smidollato ed egoista partigiano del nulla (traditore dello spirito resistenziale di un tempo).

Se la maggioranza degli italiani si permette, stando ad un recente sondaggio, di essere contraria all’invio di armi all’Ucraina, parte immediatamente la contraerea dei costituzionalisti del piffero, che ricordano come in Italia viga un regime democratico rappresentativo e parlamentare in cui le decisioni non spettano direttamente al popolo (con la piccola dimenticanza che in questa vicenda anche la coscienza dei parlamentari è bellamente tacitata dalla realpolitik bellicista del governo), la scandalizzata reazione di chi liquida il pensiero della gente come uno sfogo egocentrico di un popolo assurdamente ripiegato su se stesso (che preferirebbe, secondo l’infelice proposizione draghiana, i condizionatori accesi alla pace), la presuntuosa rassegnazione di chi si arrende alla guerra, illudendosi di mettere a posto la coscienza di tutti tifando per la parte debole (la cosiddetta guerra per procura).

Da tempo immemorabile in Russia vige il pensiero unico, che emerge in questi giorni clamorosamente e vomitevolmente dagli interventi sui media dei pretoriani giornalistici di Putin: quanta pena fa questa gente che lega l’asino dove vuole il padrone e racconta che i morti e le distruzioni sono l’inevitabile conseguenza del nazifascismo ucraino o ancor peggio dell’illusionismo teatrale degli ucraini.

Dopo un primo momento di doverosa e istintiva reazione alle falsità, sorge un dubbio: siamo sicuri che a noi occidentali la guerra venga raccontata con verità ed obiettività in tutti i suoi aspetti?  La narrazione che ci viene propinata è quella giusta? Soprattutto perché si sorvola su tutti gli errori commessi nel passato con la comoda scusa che quel che è stato è stato e ora bisogna reagire con la forza delle armi all’invasione russa? Il papa ha usato un inquietante termine per definire l’atteggiamento e il comportamento dell’Occidente: “abbaiare”. Lui si è limitato a pensare con ammirevole sarcasmo all’abbaiata della Nato alle porte della Russia, io allargo l’abbaiata a trecentosessanta gradi, un’abbaiata assordante, che ci sta investendo e che copre i rumori di una guerra pazzesca a cui ci stiamo abituando ed a cui stiamo facendo il callo.

Mia sorella, davanti alla troppa disinvoltura con cui tanti medici affrontano le patologie dei loro pazienti era solita sparare un’ironica battuta: “Lôr is preòcupon miga, tant, mäl ch’la vaga, in móron miga lôr…”. Temo che gli ucraini stiano diventando la carne da cannone per le smanie zariste di Putin e per quelle imperialiste della Nato. Con Zelensky a fare la parte obbligata dell’eroico paraninfo dell’Occidente (questo personaggio non mi convince fino in fondo, anche se da lui non si può pretendere l’impossibile).

Un mio simpatico amico, dopo avere incontrato occasionalmente per strada il suo direttore accompagnato dalla moglie, si era chiesto amleticamente: “Saroi stè pòch complimentôz con la mojéra dal dotôr?”.  Certamente io non lo sono con l’Occidente, con la Nato e con i loro pifferai. Anche perché sono sempre stato implacabile nei confronti di Putin, considerandolo, ben prima di Biden, uno dei più grandi macellai della storia, e non ho quindi bisogno di rifarmi una verginità e preferisco guardare criticamente dalla mia (?) parte.

Concludo con una barzellettina. Che differenza c’è fra Brindisi e Taranto? Che a Brindisi si può fare un brindisi, mentre a Taranto non si può fare un taranto. Facciamo quindi un brindisi alla salute di Giuseppe Brindisi, giornalista televisivo che ha intervistato il ministro degli esteri russo Lavrov, ospitandone un po’ troppo comodamente le orrende cazzate che ha sparato. Preferisco, come si sarà capito, un altro giornalismo, altri ministri e altri approcci ai discorsi di guerra che imperversano e ci stanno frastornando.