Smettiamo di abbaiare alla luna russa

Mio padre raccontava un episodio vissuto in prima persona nella sua qualità di imbianchino: stava alacremente lavorando in tutta tranquillità alla sommità di una lunga scala a pioli, quando senza motivo gli capitò di abbassare lo sguardo e di avvertire che un pezzo di scala non era correttamente incastrato: il momento del brivido, all’acrobata avevano tolto improvvisamente la rete ed il gioco si faceva molto duro.

Raccontò di non avere retto l’impatto e di essere sceso con insolita e meticolosa prudenza, fischiettando timidamente per alleggerire la tensione, e di avere raggiunto terra con il sudore sulla fronte ed una tremarella insolita nelle gambe. Ma per lui l’aspetto singolare era quello di avere retto la situazione per molto tempo inconsapevolmente, come se niente fosse e di esser crollato psicologicamente non appena reso edotto della situazione abnorme e del precario equilibrio garantito da una scala non correttamente montata. Voleva dire che la paura è un fatto psicologico e come tale va evitata e combattuta: buono a dirsi, quanto a riuscirci…

E proprio per vincere la battaglia, dopo aver sistemato la scala, risalì immediatamente e riprese il lavoro regolarmente: guai a restare sui colpi, sarebbe la fine, concludeva tra il serio ed il faceto. Un’altra regola psicologica, o meglio una piccola sua teoria, in materia, diremmo oggi, di rischio professionale, recitava più o meno così: il grado di attenzione è inversamente proporzionale al livello di protezione. Io l’ho formulata in modo canonico, mio padre la esponeva alla sua maniera, dicendo soprattutto che era più facile precipitare da una impalcatura che da un’asse sporgente da una finestra.

La paura di mio padre in un certo senso assomiglia molto a quella di Svedesi e Finlandesi, fino a qualche mese fa attestati su una ammirevole posizione di neutralità a livello internazionale. Poi si sono resi conto di un pericolo latente proveniente dalle smanie invadenti della Russia di Putin e, temendo di fare la fine dell’Ucraina, hanno avviato la procedura di adesione alla Nato. La loro posizione è indubbiamente scomoda ai confini con la Russia, la quale da parte sua ritiene questo riposizionamento di Svezia e Finlandia come una insopportabile e grave minaccia alla propria integrità territoriale.

Il premier britannico Boris Johnson ha bruciato le tappe. Il patto militare firmato dal Regno Unito con la Finlandia, come l’analoga dichiarazione solenne sottoscritta con la Svezia, prevede la possibilità di assistenza militare britannica diretta nel caso di un ipotetico attacco della Russia.

Lo ha chiarito il premier Boris Johnson a Helsinki durante una conferenza stampa congiunta con il presidente finlandese Sauli Niinisto, rispondendo alla domanda se l’impegno garantisca ‘British boots on the ground’. “Nell’eventualità di un disastro, di un attacco a uno dei nostri Paesi, ciascuno interverrebbe per dare assistenza all’altro: assistenza militare inclusa”, se “richiesta”.

L’adesione della Finlandia alla Nato non sarebbe “contro nessuno”, ha affermato oggi il presidente finlandese Sauli Niinistö, dopo che Mosca ha avvertito Helsinki delle “conseguenze” in caso di candidatura. “L’adesione alla Nato non sarebbe contro nessuno”, ha affermato il presidente Niinistö, firmando una dichiarazione di mutua assistenza con il Regno Unito a Helsinki. “Se la Finlandia aumenta la sua sicurezza, non è a spese di nessun altro”, ha detto, insieme al primo ministro britannico Boris Johnson.

Non v’è dubbio che l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia abbia sconvolto gli equilibri a livello internazionale, ma è altrettanto vero che le reazioni a questo gravissimo atto sono piuttosto schizofreniche: Biden si è lasciato più volte andare a una verbosità da osteria con la quale ha coperto peraltro la voglia di dare una solenne lezione a Putin; Johnson le sta sparando sempre più grosse, vittima del solito protagonismo bellico inglese; la Nato, per dirla con papa Francesco, continua, direttamente e indirettamente, ad abbaiare alle porte della Russia. Il papa usando questo termine ha centrato in pieno la questione: mi risulta che i cani abbaino più per paura che per aggressività ed infatti un po’ tutti i protagonisti del panorama internazionale reagiscono alla paura preparandosi alla guerra, senza capire che lo schema di guerra non può che incutere paura, che paura chiama paura, che un clima di reciproca paura non può rimanere freddamente nervoso ma porta inevitabilmente alla bollente e interminabile guerra.  Un gatto con gli anfibi che si morde la coda.

O si riesce a recuperare un minimo di razionalità, tenendo i nervi a posto, o, altrimenti, una frittata chiamerà un’altra frittata e via di questo passo. Non è il momento di allargare la Nato, ma quello di mantenere e garantire la neutralità di Paesi come la Svezia e la Finlandia a cui si potrebbe aggiungere l’Ucraina.

Non bisogna assolutamente fornire a Putin alibi e pretesti. Non è il caso di mostrare i muscoli nell’impazzimento generale che si è scatenato. L’Europa dovrebbe avere il compito di sdrammatizzare la situazione riportando tutti alla ragione, se non altro perché in questa rissa globale i Paesi europei hanno tutto da perdere.

Joe Biden ha riconosciuto, più per convenienza e piaggeria che per sincera convinzione, a Mario Draghi la capacità di tenere unita la baracca europea e di metterla in rapporto corretto e leale con gli Usa. Ci speravo anch’io. Purtroppo il carisma draghiano non arriva a tanto. Per la verità non ci sta nemmeno provando: ha paura di scottarsi le dita. Provi almeno a fare ragionare tutti: con Johnson sarà tempo perso (guardategli la faccia…, direbbe Indro Montanelli), con Macron e Scholz ci si può, anzi ci si deve tentare. Le ragioni europee forti potranno convincere anche i più refrattari: l’unanimità dei Paesi ragionevoli. I non ragionevoli vadano per la loro strada, andranno poco lontano…