La democratura nella zuppiera

In questi giorni ho ascoltato ripetutamente, a livello omiletico, l’elogio dell’impostazione gerarchica e centralistica emergente dagli Atti degli Apostoli fin dal sorgere delle prime comunità cristiane. Non sono del tutto convinto che Gesù per la sua Chiesa avesse in mente un simile canovaccio: il tanto enfatizzato primato di Pietro mi sembra fosse più una provocatoria e precaria investitura che una traccia di assetto per i secoli a venire.

Un mio carissimo amico mi confidò come le sue perplessità sulla Chiesa potessero essere risolte soltanto chiamando i cristiani ad eleggere democraticamente il proprio vescovo, prassi peraltro in vigore durante certi periodi in cui il vescovo veniva non tanto eletto a scrutinio segreto secondo i crismi oggi in vigore nelle società democratiche, ma addirittura acclamato dalla comunità in una sorta di assemblearismo di stampo sessantottino. Forse l’elezione diretta del vescovo non cambierebbe tutto, ma potrebbe indubbiamente segnare una novità di stile e di partecipazione per le comunità cristiane, chiamate attualmente soltanto a fare il tifo per il papa e per i vescovi nominati dall’alto.

Non mi stanco mai di ripensare ad una eloquente e gustosa barzelletta. Dicono piacesse molto a papa Giovanni Paolo ll. “Dio Padre osserva, con attenzione, venata da una punta di scetticismo, l’attivismo dei cardinali di Santa Romana Chiesa, ma non riesce a capire fino in fondo lo scopo della loro missione. Con qualche preoccupazione decide di interpellare Dio Figlio in quanto, essendosi recato in terra, dovrebbe avere maggiore dimestichezza con questi importanti personaggi a capo della Chiesa da Lui fondata. Dio Figlio però non fornisce risposte plausibili, sa che sono vestiti con tonache di colore rosso porpora a significare l’impegno alla fedeltà fino a spargere il proprio sangue, constata la loro erudizione teologica, la loro capacità diplomatica, la loro abilità dialettica, ma il tutto non risulta troppo convincente e soprattutto rispondente alle indicazioni date ai discepoli prima di salire al cielo.  Anche Dio Figlio non è convinto e quindi, di comune accordo, decidono di acquisire il parere autorevole di Dio Spirito Santo, Lui che ha proprio il compito di sovrintendere alla Chiesa.  Di fronte alla domanda precisa anche la Terza Persona dimostra di non avere le idee chiare, di stare un po’ troppo sulle sue ed allora il Padre insiste esigendo elementi precisi di valutazione, minacciando un intervento diretto piuttosto brusco e doloroso. A quel punto lo Spirito Santo si vede costretto a dire la verità ed afferma: «Se devo essere sincero, anch’io non ho capito fino in fondo cosa facciano questi signori cardinali, sono in tanti, ostentano studio, predica e preghiera. Pregano soprattutto me affinché vada in loro soccorso quando devono prendere decisioni importanti. Io li ascolto, mi precipito, ma immancabilmente, quando arrivo col mio parere, devo curiosamente constatare che hanno già deciso tutto!»”

È tornata d’attualità nella contingenza della nomina del nuovo presidente della CEI, Conferenza Episcopale Italiana, in sostituzione del cardinale Gualtiero Bassetti, messo a riposo per raggiunti limiti di età, prassi piuttosto sbrigativa che nel caso ha sollevato qualche dubbio con argomenti più da bar-vaticano che da serio vaticanismo. L’assemblea dei vescovi italiani non è chiamata ad eleggere il proprio presidente, ma a limitarsi alla proposizione di una terna di nomi al papa, che sceglierà fra questi colui che guiderà la Cei per cinque anni.

Durante il lungo conclave  per l’elezione del papa che sfociò nell’elezione di Roncalli quale Giovanni XXXIII, nel caffè frequentato da mio padre dal televisore si poteva assistere, con molto scetticismo ed una vena di irresistibile anticlericalismo, al lungo susseguirsi di fumate nere e qualche furbetto non trovò di meglio che chiedere provocatoriamente a mio padre, di cui era noto il legame, parentale e non, con il mondo clericale (un cognato sacerdote, una cognata suora, amici e conoscenti preti etc….): “Ti ch’a te t’ intend s’ in gh’la cävon miga a mèttros d’acordi cme vala a fnir “.  Ci sarebbe stato da rispondere con un trattato di diritto canonico, ma mio padre molto astutamente preferì rispondere alla sua maniera: “I fan cme in Russia, igh dan la scheda dal sì e basta! “.

La Chiesa cattolica è più democratica di certi regimi, ma non mi basta. Oggi, senza alcun intento polemico (?), mi chiedo perché l’elezione del “primate” italiano della Chiesa cattolica debba sottostare ad una procedura che puzza di burocratico lontano un miglio e che taglia fuori non solo i cattolici italiani, ma persino i vescovi del nostro Paese, ritenuti minorenni e incapaci di scegliere il loro capo, che verrà inappellabilmente nominato dal Papa. È chiaro che la terna risentirà al suo sbocciare degli umori e delle preferenze papali: un modo curialesco per camuffare da democrazia una scelta prettamente anti-democratica. Qualcuno penserà che il Papa (peraltro vescovo di Roma) abbia diritto-dovere di scegliere per l’Italia un interprete autorevole perfettamente in linea con la sua impostazione pastorale e che quindi ben possa venire un vescovo (addirittura un cardinale per dargli ancora più peso canonico) che comporti l’adesione italiana allo stile di papa Francesco.

Pur considerando il valore relativo delle categorie politiche applicate alla vita ecclesiale, quello di cui sopra mi sembra (da progressista quale mi considero) uno strano modo di essere progressisti: quello di tifare aprioristicamente per un papa progressista che la faccia da padrone in senso progressista. Preferirei correre il rischio di un presidente Cei conservatore, ma eletto con un minimo di democrazia, anche perché se il conservatorismo fosse maggioritario (ed è così!) rispunterebbe sotto traccia e sarebbe ancor più difficile da contrastare. Meglio affrontare la realtà che occultarla in senso papale. L’opposizione a Bergoglio è (purtroppo) viva e vegeta e non la si combatte certo con le barriere burocratiche.

Al momento non mi rimane che vivere la mia difficile appartenenza alla Chiesa, assumendo il tipico atteggiamento del tifoso: mi limito a fare il tifo per Matteo Zuppi, il cardinale-vescovo di Bologna, bergogliano doc, rinviando a tempi migliori il voto democratico per il vescovo e per il premier della Cei. Ebbene Zuppi l’ha spuntata e ne sono molto felice. So benissimo che nella Chiesa gli schemi politici non contano, però l’indubbio progressismo del vescovo di Bologna mi riempie di speranza. Auguri di vero cuore!

“Ringrazio il Signore per la fiducia e ringrazio anche voi per la fiducia”. Queste le prime parole rivolte ai vescovi italiani riuniti in assemblea dal card. Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna, dopo la nomina a presidente della Cei da parte di Papa Francesco. “Sono rimasto colpito dalle parole di Bassetti, comunione e missione”, ha proseguito il cardinale a proposito di un passaggio del discorso del suo predecessore nell’introduzione ai lavori: “Sono le stesse parole che sento nel cuore per questo mandato”, ha aggiunto. “Cercherò di fare del mio meglio, ce la metterò tutta”, ha assicurato. “Restiamo uniti nella sinodalità, nella comunione, nella preghiera”, ha concluso Zuppi: “Grazie a tutti, a presto”.

Considerata la mia età piuttosto avanzata e i tempi biblici della Chiesa non farò in tempo ad esercitare e a veder esercitato il diritto di voto. Non posso fare altro che continuare a sperare nello Spirito Santo, ammesso e non concesso che lo lascino lavorare. Questa volta è andata bene nel risultato finale anche se il modo ancor m’offende.