Il ballo delle scimmie e degli scienziati

Nel suo libro-saggio “Della gentilezza e del coraggio”, Gianrico Carofiglio sostiene che “la semplice impossibilità di confutare un’argomentazione non la rende vera”. Come esempio porta l’accusa di inattendibilità rivolta alla scienza senza portare prove al riguardo se non il generico fatto che “i medici e la scienza si sono sbagliati tante volte e quindi c’è poco da fidarsi”.

Il problema però non è tanto l’atteggiamento scettico al limite del qualunquismo sfoderato dall’uomo della strada (mi ritengo tale a tutti gli effetti), ma il comportamento degli scienziati a livello comunicativo oscillante fra l’ostentata presunzione di detenere la verità assoluta e la logorroica contraddittorietà delle loro analisi offerte in pasto ad una opinione pubblica alla spasmodica ricerca di qualche certezza.

La storia, verificatasi durante la vicenda coronavirus, rispunta, riveduta e scorretta, ai tristi albori del vaiolo delle scimmie. Dalle prime pompose dichiarazioni dei virologi emergono due tendenze: quella autodifensiva, volta a dimostrare come si sapesse tutto da tempo; quella tranquillizzante tesa a calmare le ansie emergenti nella gente.

Se si conosceva il virus, viene spontanea una domanda: siamo sicuri che non si potesse fare qualcosa per prevenire quella che diventerà ben presto una epidemia? La scienza medica – che non è come la non scienza sociologica che consiste nell’elaborazione sistematica dell’ovvio – dovrebbe studiare e prevenire, nei limiti del possibile, le malattie e non limitarsi a chiudere la stalla quando i buoi sono scappati.

Se si intende calmare gli animi surriscaldati delle persone già duramente provate dall’emergenza covid   bisogna chiacchierare poco e dare poche, precise e chiare indicazioni (non dico e non pretendo certezze). È infatti vero che quando si resta scottati (covid) si finisce con l’avere paura anche dell’acqua fredda (ammesso e non concesso che il vaiolo delle scimmie possa essere considerato tale), ma è altrettanto vero che, se ad un soggetto tendenzialmente preoccupato si dice di “stare calmo”, è proprio la volta che quella persona va letteralmente in panico. È inutile perciò che gli esperti continuino col ritornello della situazione sotto controllo, mentre magari in sottofondo vanno in onda immagini di pelle distrutta dalle pustole vaiolose.

Posso essere provocatoriamente drastico? Hanno fatto molto scalpore le coraggiose prese di posizione di Marco Tarquinio, direttore di Avvenire, sulla guerra in corso fra Russia e Ucraina. Ha avuto parole dure, anche se rispettose, nei confronti del vicesegretario generale della Nato Geoana e dell’ambasciatore Sessa: «Non mi fido e non vi credo». Imito impropriamente Tarquinio, tentandone una versione superba: non mi fido degli scienziati, perché affetti da pavoneggiamento autoreferenziale e politicamente (troppo) corretti.

Non ho ancora sentito una parola chiara e seria sulla vaccinazione di massa contro il vaiolo effettuata fino agli anni ottanta del secolo scorso: funziona ancora o non vale più nemmeno una cicca? Il silenzio mi lascia supporre che le difese immunitarie siano venute meno e che quindi anche gli ultracinquantenni non possano dormire sonni tranquilli. Sarebbe meglio dire almeno un pezzettino di verità. Purtroppo, anche alla luce dell’andamento pandemico del covid, abbiamo tutti la sensazione che la verità ci venga accuratamente e sistematicamente nascosta sotto una valanga di chiacchiere che fanno bene solo a chi le vende.

Avrà certamente ragione Gianrico Carofiglio nel volerci mettere in guardia rispetto “all’arte del complotto”, ma la sete di verità, se non è positivamente e ragionevolmente placata, porta inevitabilmente a temere il complotto delle falsità. Non pretendo l’impossibile, ma che con prudenza, umiltà, rispetto e senza reticenze strumentali si vuoti il pur relativo sacco della verità.