I ‘se’(mi) sprecati nel passato e i ‘ma’(li) subiti nel presente

Il punto di Andrea Margelletti, l’esperto geopolitico che commenta ogni giorno sulla Stampa il conflitto tra Russia e Ucraina: “Se la Nato non avesse armato Zelensky, da due mesi l’Ucraina non esisterebbe più. E Putin non si sarebbe fermato».

Come ho già avuto modo di scrivere, qualcuno, l’ex presidente americano in primis, sostiene che, “se” fosse ancora in sella Donald Trump, Putin non si sarebbe permesso di fare quel che sta facendo: avrebbe temuto i contraccolpi e soprattutto non avrebbe avuto alcun interesse a mettere in discussione l’equilibrio cercato e trovato fra due “delinquenti”, che sotto sotto se la intendevano parecchio.

Visto che illustri personaggi si stanno esercitando nell’arte del “se”, ho deciso di cimentarmi anch’io in questo facile compito a cui nessuno può porre obiezioni di fatto: siamo nel mondo dei sogni e non è vietato rimanerci. Per molti serve ad insegnare pazientemente le regole di condotta stabilite da Washington. Io tento di smarcarmi da questo categorico imperativo per ragionare con la mia testa, andando a prestito anche da personaggi autorevoli del passato e del presente. Ci provo di seguito.

“Se”, come scriveva nel 2014 Henry Kissinger, gli Usa avessero evitato di considerare la Russia un Paese anormale e avessero cercato di capire la storia e la psicologia russe, avrebbero potuto impostare una strategia in quattro punti: 1. L’Ucraina libera di scegliere le proprie associazioni economiche e politiche, incluse quelle con l’Europa; 2. L’Ucraina non aderente alla Nato; 3. L’Ucraina libera, indipendente, democratica, neutrale e riconciliata al proprio interno fra le varie componenti del Paese; 4. Sovranità ucraina sulla Crimea autonoma. Forse non saremmo arrivati al punto in cui siamo.

“Se”, come scriveva l’autorevole esperto Bernard Guetta nel 2008, l’Occidente non avesse bombardato Belgrado per intere giornate in appoggio alla secessione kosovara, avrebbe potuto, dopo avere rispettato il diritto all’autodeterminazione nei Balcani, invocare nel Caucaso il principio dell’integrità territoriale e forse la storia avrebbe potuto prendere una piega diversa.

“Se”, come si chiedeva ancora Guetta, il Messico o il Canada decidessero sovranamente di entrare a far parte di un patto militare dominato da Mosca, come reagirebbero gli Stati Uniti? Quando l’ultimo presidente sovietico lasciò che il muro si aprisse, l’Occidente giurò di non voler estendere i limiti della Nato. “Se” fosse stato rispettato questo impegno senza corteggiamenti a Ucraina e Georgia e senza puntare ad una progressiva estensione territoriale della Nato, forse la Russia non avrebbe avuto alcun pretesto plausibile per tornare a una anacronistica drammatizzazione dei rapporti con l’Occidente.

“Se” si fosse perseguito, organicamente e non in ordine sparso e contraddittorio, un equilibrio tra russi e occidentali in base a cultura, economia, storia e geografia, perseguendo una stabilità del continente Europa tra la Federazione russa e l’Ue, combinando gli interessi della Russia, che non può fare a meno della tecnologia occidentale per modernizzare le sue trivellazioni, che ha bisogno di vendere il suo gas e il suo petrolio non meno di quanto l’Europa abbia bisogno di acquistarli e che deve fare i conti con la progressiva e pesante invadenza cinese, forse non staremmo a discutere di sanzioni economiche e del modo più o meno subdolo di aggirarle da entrambe le parti.

“Se” in Ucraina si fosse cercato di trovare un accettabile modus vivendi tra russofili e occidentalisti, si sarebbe tolto un pezzo significativo di terra sotto i piedi dell’avanzata russa definita non a caso operazione speciale per sistemare i rapporti all’interno dell’Ucraina. Qualcosa di grave è successo nel tempo all’interno di un balletto assai poco democratico e tifato dagli Usa, lasciando tra l’altro campo libero ad un bipolarismo socio-culturale: anche l’Ucraina paga gli errori da cui non è esente.

Se”, come sostiene Barbara Spinelli, dopo il crollo dell’Urss, gli Usa e gli europei fossero stati capaci di costruire un ordine internazionale diverso dal precedente, specie da quando alle superpotenze s’è aggiunta la Cina, non saremmo oggi così squilibrati e brancolanti nel buio di una latente terza guerra mondiale. Il dopo Guerra fredda fu vissuto come una vittoria Usa e non come una comune vittoria dell’Ovest e dell’Est. La storia era finita, il mondo era diventato capitalista, l’ordine era unipolare e gli Usa l’egemone unico. Come non vedere, per lo meno in filigrana, tutto ciò nei passati, supponenti ed aggressivi, atteggiamenti trumpiani e nei recenti sbruffoneschi e provocatori atteggiamenti statunitensi?

“Se” la Ue avesse tenuto negli anni una posizione più compattamente e coraggiosamente autonoma rispetto agli Stati Uniti, guardando, se non alla inesistente propria strategia complessiva, almeno agli interessi di bottega così come hanno sempre fatto e stanno facendo  gli Usa, smettendola di divedersi fra  filoamericanismo di maniera e nazionalismo di risulta (Trump è riuscito a cavalcare questi due cavalli riducendoli all’unico asino sovranista), non sarebbe alla frutta negli approvvigionamenti energetici, nella sua classe dirigente, nella sua tattica anti-Putin, in tutto ciò che chiamasi politica unitaria. Forse i tentativi di mediazione fra Ucraina e Russia non sarebbero rimasti al palo delle telefonate macroniane e delle boutade scholziane. Come europei siamo lì a farci dettare il compito da Biden, che oltretutto vuol fare il primo della classe senza esserlo. Rischiamo di foraggiare soltanto le industrie degli armamenti in nome di fantomatici principi di cui tutti si fanno belli salvo averli più o meno violati in continuazione.

Se proprio vogliamo usare l’esercizio retorico dei “se”, sarebbe meglio adottarlo non tanto per gratificarci del peggio che riusciamo ad evitare a babbo morto, ma per scoprire il male che abbiamo seminato quando il babbo era vivo e vegeto. Barbara Spinelli conclude un suo recente stupendo pezzo con questa affermazione: “Ammettere i nostri errori sarebbe un contributo non irrilevante alla pace che diciamo di volere”.