Difficile convivenza tra moglie-politica e marito-tecnica

Come noto il governo Draghi è nato sulle ali della tecnica espertizzata prestata alla politica fracassata: una meritoria operazione di trapianto effettuata dalle sapienti mani di Sergio Mattarella. Strada facendo però sono intervenuti chiari e gravi sintomi di rigetto. Il corpaccione politico si è ribellato, rivendicando il proprio insostituibile ruolo; il nuovo governo trapiantato ha dato evidenti segni di incertezza e inadeguatezza.

Mario Draghi ha progressivamente mostrato scarsa sensibilità politica, finendo col coprire questa grave lacuna atteggiandosi a signor “lasciatefareame”, atteggiamento irritante per i partiti, stretti all’angolo irrilevante del Parlamento, consolatorio per la gente impressionata dalla sicumera retorica del personaggio.

Sì, perché al deficit politico si è cercato di ovviare con un surplus tecnico o per meglio dire tra la moglie della politica e il marito della tecnica si è (intro)messo il dito della retorica, vale a dire l’atteggiamento del parlare, o anche dell’agire, improntato a una vana e artificiosa ricerca dell’effetto con manifestazioni di ostentata adesione ai più banali luoghi comuni.

Quasi in ogni conferenza stampa il premier Draghi ha sciorinato espressioni retoriche a volte “gaffose”, a volte “gassose”, a volte penose, a volte irriguardose. Non sto a riprenderle singolarmente in considerazione per carità di governo. Mi preme invece sottolineare il gap incolmabile fra politica e tecnica. Per essere un animale politico non basta avere ricoperto certi prestigiosi incarichi di carattere economico e di livello internazionale; non basta avere un curriculum di tutto rispetto e un pedigree in perfetto ordine. Manca comunque un indefinibile ma indispensabile “più x”.

Torno solo un attimo sulla questione delle conferenze stampa che segnarono in un certo senso la logorroica tomba del premier Giuseppe Conte. Mario Draghi per un po’ di tempo resistette alla tentazione, poi strada facendo ha ceduto centellinando le uscite e trasformandole in dimostrazioni della propria caratura con l’aggiunta di una punta di retorica sentimentaloide se non proprio populista.

Non voglio esagerare ma il “più x” uno non se lo può dare, o ce l’ha o non ce l’ha. L’emergenza bellica sta purtroppo evidenziando i limiti politici di Draghi, che non è né carne né pesce: non è un politico di pura mediazione perché tende ad esigere dietro di sé l’unità a prescindere; non è uno statista perché non ha e forse non può avere un disegno strategico in testa e nel cuore.

In Italia continua ad essere il meno peggio in un periodo in cui occorrerebbe il meglio del meglio; in Europa è condizionato da cattive compagnie e non riesce a rovesciare i tavoli, si dichiara europeista (e non c’è dubbio che lo sia), ma non ha il definitivo carisma per imporsi in un parterre di nani presuntuosi e pericolosi. Molto savoir faire e poca capacità di incidere realmente. È un vero peccato, perché mi aspettavo molto, ma molto di più. Un’occasione offerta su un piatto d’argento da un ispirato Mattarella, una chance che si sta sprecando (e la colpa non è solo di Draghi). Lo dico con la morte politica nel cuore.

Mio padre non amava il calcio parlato: l’unica eccezione era la lettura dell’opinione di Curti, pubblicata sul quotidiano locale del lunedì, un commento essenziale ed equilibrato che finiva, quasi sempre, con la solita sconsolata espressione “un’altra partita da dimenticare”. E mio padre chiosava: “Pri tifóz dal Pärma a gh vól la memoria curta”.

Non dico che l’esperienza del governo Draghi sia da dimenticare, ma certamente la leggo con molto spirito critico, allontanandomi dal pensiero unico, che vuole Draghi sempre e comunque sugli scudi. È pur vero che manca la prova contraria. Cosa sarebbe successo se non fosse entrato in pista Draghi? La fantasia è una componente della politica, ma va esercitata previamente per cercare soluzioni e non a posteriori per salvarle o scartarle.