C’è del trambusto in Scandinavia

Dopo “Pace proibita”, la serata evento al teatro Ghione di Roma, la composita galassia pacifista riunita attorno all’iniziativa di Michele Santoro si riorganizza e rilancia le proprie istanze con un appello al Parlamento. A presentarlo lo stesso giornalista ex Rai, assieme a Sabina Guzzanti e al direttore di Avvenire, Marco Tarquinio.

La richiesta è quella di una riunione urgente della commissione di Vigilanza Rai affinché si intervenga sulla narrazione attuale in merito al conflitto e si ponga rimedio alla demonizzazione attuata nei confronti delle opinioni di chi è contrario all’escalation militare. «Oggi pace è una parola quasi proibita, censurata. Grazie all’iniziativa del teatro Ghione è tornata a circolare più liberamente, ma questo segnale di disgelo non è arrivato alla stampa italiana – ha chiarito Santoro -. Volevamo fare un atto di ribellione al pensiero unico e siamo stati travolti dalla partecipazione, significa che c’è un’opinione pubblica bloccata e che non viene rappresentata. Per cui chiediamo un riequilibrio delle rappresentanze di tutte le posizioni nel servizio pubblico».

Mi sento appartenente al pensiero critico e ben lontano da quello unico: purtroppo non solo il servizio pubblico televisivo, ma tutto ciò che gira attorno al sistema televisivo è allineato sulle posizioni di convinta o rassegnata accettazione della logica (?) bellica. Ho smesso di seguire il dibattito a senso unico e vado alla disperata ricerca delle pochissime fonti mediatiche che garantiscono almeno un po’ di pluralismo: il quotidiano Avvenire e Radio Radicale.

Proprio nella suddetta emittente radiofonica ho potuto seguire una interessante intervista a Monica Quirico, saggista e politologa, esperta nella geopolitica scandinava: la recente decisione di Svezia e Finlandia di adesione alla Nato è stata esaminata criticamente da tutti punti di vista.

Sul piano della politica interna a quegli Stati viene rilevata (tutto il mondo è paese) l’assenza di dibattito su una scelta importantissima, che cambia la storica collocazione e gli assetti a livello europeo e finanche mondiale. In Svezia il partito della sinistra e i verdi richiedono un referendum dal momento che gli sbrigativi sondaggi favorevoli non possono costituire la base per simili decisioni. Si sta infatti assistendo a un repentino capovolgimento delle posizioni partitiche precedentemente assunte e presentate agli elettori: soprattutto a sinistra (leggi partito socialdemocratico) si sta compiendo un autentico ribaltone culturale e politico, dalla neutralità allo schieramento con l’alleanza occidentale. Chi decide a livello istituzionale peraltro è frutto di una precedente elezione avvenuta sulla base di posizioni diverse: qualcuno ha avanzato la proposta di attendere le prossime elezioni, piuttosto ravvicinate nel tempo, prima di assumere decisioni definitive e assai compromettenti.

La Svezia ha creato l’immagine nazionale di “potenza morale”, che vorrebbe mantenere scontando però una ipocrisia di fondo sulla politica estera (neutrali fino a mezzogiorno). Come farà a coniugare una scelta politica ante litteram a favore della pace e della denuclearizzazione con l’ingresso in una alleanza militare. Come farà a rifiutare nei propri confini l’eventuale allocazione di armi atomiche e di stabili basi della Nato.

Da punto di vista temporale l’iter di adesione è piuttosto lungo (almeno alcuni mesi), nel frattempo cosa succederebbe nella dannata ipotesi di invasione russa (caso peraltro piuttosto fantasioso, più di scuola che di realtà, considerata la debolezza militare russa emergente dall’andamento della guerra in Ucraina). La Svezia e la Finlandia dovrebbero accontentarsi delle garanzie e rassicurazioni statunitensi, inglesi e di altri Paesi europei, che però hanno attualmente valore relativo, quello di un provvisorio gentleman agreement.

Si sta indubbiamente cavalcando la russofobia svedese e finlandese per giustificare a livello di pancia una decisione che meriterebbe lucidità di ragionamento e complessità e profondità di argomentazioni (politiche, sociali, economiche). E poi, come la metterà la Svezia con il problema dei Curdi presenti nel suo territorio? Li considererà dei terroristi, come chiede La Turchia facente parte della Nato e infatti piuttosto perplessa per non dire contraria all’ingresso svedese nell’alleanza? Adotterà per loro l’estradizione, li lascerà deportare in terra turca?

In conclusione, a chi serve e a chi giova l’adesione di Svezia e Finlandia alla Nato? Sicuramente agli Usa e alla Nato che ottengono a basso prezzo nuovi alleati strategici e militari, non ai Paesi richiedenti che, timorosi più o meno in buona fede, verranno sbalzati in una storia che non li riguarda e in un futuro carico di incognite, non alla causa della pace globale, che avrà un ulteriore minaccia e una difficoltà in più, non ad un processo distensivo internazionale, perché l’implementazione della Nato suonerà come una provocazione nei confronti di un dittatore in difficoltà isolato e pronto a tutto, capace anche di gesti estremi.

Le prime reazioni minacciose di Mosca sono state presentate dai media svedesi e finlandesi alternando articoli sulla durezza russa (ritorsioni economiche) a quelli sulla furbesca attesa fattuale di Putin: della serie can che abbaia non morde. E allora, se è così, perché muovere un gran casino geopolitico in Scandinavia? Non stiamo forse scherzando (per paura) col fuoco (della realtà)? A meno che, come al solito, non ci manchi un pezzo di verità, fatto di mere connivenze e convenienze economiche. Le guerre e le alleanze per fare e/o reagire alle guerre, da che mondo è mondo, sono sempre dettate da inconfessabili interessi economici camuffati da ampollosi discorsi sui massimi sistemi.