Maestre vittime del “pedagogically correct”

Quattro anni fa aveva sgridato gli alunni di una quinta elementare, dopo che questi avevano imbrattato i bagni di feci e si erano mostrati irrequieti durante la sua ora. Era stata denunciata dai genitori e il Tribunale di Parma l’ha condannata a un mese e 20 giorni per abuso di mezzi di correzione nei confronti dei ragazzi, che in lacrime avevano raccontato a famigliari e insegnanti degli insulti e strattonamenti ricevuti. Accuse sempre respinte dalla supplente. Ma nelle motivazioni della sentenza, la giudice parla di versioni «coerenti e reiterate» rese dagli studenti. E spiega che, subito dopo l’accaduto, i fatti erano stati segnalati al Preside della scuola con una lettera di alcune colleghe, messe al corrente dei fatti, e che la docente era stata convocata dal dirigente per una sanzione disciplinare.

Ad una educatrice della scuola Whitefield Primary Academy di Luton, a nord di Londra, lo slancio d’affetto avuto nei confronti di un suo alunno, quattro anni, con difficoltà di apprendimento, è costato il licenziamento. La donna, accusata di aver «abusato» della fiducia conferitagli dal ruolo per accogliere tra le braccia il piccolo, in evidente stato confusionale, ha contestato la decisione della presidenza al tribunale del lavoro di Watford. Dopo più di un anno di udienze il giudice le ha dato ragione: quell’abbraccio non era così grave da giustificare l’allontanamento dal lavoro.

Mi hanno incuriosito i suddetti fatti contraddittori nella loro “diseducativa” esagerazione giudiziaria: da una parte l’abuso di correzione, dall’altra l’abuso d’affetto. In mezzo mi sia consentito di aggiungere l’assenza della genitorialità.

Può darsi che all’insegnante di Fornovo siano saltati i nervi di fronte ad un fatto così riprovevole e all’omertoso atteggiamento della scolaresca: non ci vedo niente di grave, tanto meno di penalmente rilevante. Cosa doveva fare questa maestra? Passarci sopra? Ridurre l’atto ad una delle solite innocue ragazzate? Lavarsene le mani rimettendo la questione al Preside della scuola? La prossima volta farà così e tutto andrà bene. In questa società l’importante è non rompere le scatole a nessuno, voltarsi dall’altra parte. Se a me da bambino fosse successo un fatto simile, dopo i rimproveri più o meno violenti della maestra, mi sarei preso quelli ancor più forti dei miei genitori, che avrebbero elogiato la maestra per il suo comportamento, certificandolo con qualche ceffone a mio carico.

Ancor più assurda la vicenda giudiziaria della maestra inglese, troppo materna e affettuosa. Avrebbe dovuto mantenere le distanze? Avrebbe dovuto adottare il freddo aplomb inglese? Ma fatemi il piacere. Un supplemento di affetto non ha mai fatto male a nessuno, anzi. L’insegnante non è un robot, ma una persona che accosta l’alunno e cerca di educarlo con le nozioni ma soprattutto con le emozioni.

Stupisce in questi casi l’atteggiamento falsamente protettivo e veramente assenteista dei genitori.  Mia sorella, acuta ed appassionata osservatrice dei problemi sociali, nonché politicamente impegnata a cercare, umilmente ma “testardamente”, di affrontarli, di fronte ai comportamenti strani, drammatici al limite della tragedia, degli adolescenti era solita porsi un inquietante e provocatorio interrogativo: «Dove sono i genitori di questi ragazzi? Possibile che non si accorgano mai del vulcano che ribolle sotto la imperturbabile crosta della loro vita famigliare?». Di fronte ai clamorosi fatti di devianza minorile, andava subito alla fonte, vale a dire ai genitori ed alle famiglie: dove sono, si chiedeva, cosa fanno, possibile che non si accorgano di niente? Aveva perfettamente ragione. Chissà cosa direbbe di fronte agli episodi suddetti.

Capisco come esercitare il “mestiere” di genitori non sia facile ed agevole: di qui a fregarsene altamente o addirittura ad ostacolare gli insegnanti dei propri figli, che osano intromettersi nella finta pax famigliare, passa molta, troppa strada.