Parole d’ordine: “andiamo in pubblicità”. È il ritornello in voga in tutte le emittenti televisive, pubbliche e private: un’autentica tortura, che non conosce limiti etici e di buongusto. Tv 2000, la televisione di emanazione Cei, manda pubblicità prima e dopo le funzioni religiose: il sacerdote non fa nemmeno in tempo a impartire la benedizione finale che scatta l’esaltazione della “poltrona principessa”. Su La7, canale televisivo privato di proprietà del gruppo “Cairo Communication”, tra un bollettino di guerra e l’altro entra in campo una sequela di spot pubblicitari: illustri ospiti in studio vengono messi in attesa, le notizie più drammatiche vengono momentaneamente accantonate per dare spazio alla pubblicità, i ragionamenti più impegnati e profondi vengono sospesi per lanciare messaggi di propaganda consumistica. Anche la Rai non è da meno. Se durante la pausa pubblicitaria si tenta disperatamente di sottrarsi alla morsa facendo zapping sul telecomando, ci si imbatte in altrettanta pubblicità: un tacito accordo ai danni del povero telespettatore, costretto a bere sempre e comunque i consigli inutili propinati a bizzeffe.
La rete più infarcita di pubblicità è sicuramente La7, specializzata nell’informazione e nell’approfondimento di carattere politico, collocati da mattina a sera in una successione di programmi piuttosto accattivanti proposti senza soluzione di continuità. A quanto pare la ricetta funziona: durante il periodo dell’elezione del presidente della Repubblica ho contato oltre cento committenti pubblicitari ad intervallare le chiacchiere intorno all’avvenimento; un’autentica scorpacciata consumistica a danni di chi si interessa di politica e deve mangiare questa minestra se non vuol saltare dalla finestra del qualunquismo.
Il sistema è questo! Tra la rassegnazione e l’autocelebrazione vi è però una certa differenza. Massimo Giletti, uno dei “maître a non penser” de La7, in questi giorni di incassi pubblicitari favolosi, giustificati dalla notevole attenzione riservata agli eventi bellici, si è lasciato andare ad una vomitevole leccata di regime: “La pubblicità fa la Tv libera”: una battuta che fa tranquillamente il paio con le fandonie a cui devono piegarsi i giornalisti russi. In Russia si trasmette quel che fa comodo a Putin, in Italia quel che fa comodo all’economia di un finto mercato. Non saprei cosa scegliere.
Un tempo si diceva che “la pubblicità è l’anima del commercio”, oggi, andando a prestito dalla sociologia gilettiana, si potrebbe dire che “la pubblicità è l’anima di un’informazione drogata”. La pubblicità fa bene a chi la vende, ma fa molto male a chi la beve e la confonde con l’informazione.
Facciamo pure lo sconto su Giletti: lo ritengo un personaggio televisivo vuoto come una calza, che lascia intendere di essere bello e bravo, capace solo di recitare a soggetto, che non sa un cazzo, ma lo fa dire bene agli altri. Una mia attenta ed intelligente amica mi ha detto recentemente: “Giletti? Non lo reggo!”. Credo però sia l’interprete sbracato dell’orgoglio pubblicitario televisivo.
All’inizio del verdiano Otello, il moro, di ritorno da una dura battaglia navale contro i turchi, declama il famoso “Esultate! L’orgoglio musulmano sepolto è in mar. Nostra e del ciel è gloria! Dopo l’armi lo vinse l’uragano!”. Si riuscirà mai a seppellire l’orgoglio pubblicitario per poter esultare della libertà di comprare quel che si vuole? Anche a livello dell’informazione?