La fiducia è una cosa seria e si dà alle cose serie

Hanno fatto molto scalpore le coraggiose prese di posizione di Marco Tarquinio, direttore di Avvenire, sulla guerra in corso fra Russia e Ucraina. Ha avuto parole dure, anche se rispettose, nei confronti del vicesegretario generale della Nato Geoana e dell’ambasciatore Sessa: «Non mi fido e non vi credo». I giorni successivi ha così titolato la rubrica delle lettere al direttore: “Occhi e cuore per chi soffre e muore. (Al resto non credete e non fidatevi)”. Bisogna cioè “ascoltare la realtà, con infinito dolore e infinita pietà per ogni soldato e ogni civile che viene precipitato nella fornace atroce e ancora alimentata della guerra”. Il Papa, che si sforza di proporre schemi di pace in alternativa agli schemi di guerra di cui siamo prigionieri, viene bellamente snobbato e quasi ridicolizzato in nome del necessario (sic!) “riarmismo” dilagante.

Quale credibilità può avere la Nato che da strumento di difesa si è vieppiù trasformato in strumento di guerra? Quante operazioni belliche sbagliate sono state compiute in nome e per conto della Nato! Ci sarebbe molto da discutere anche sulla passata guerra nel Kosovo.

Quale affidabilità può avere una diplomazia fatta da dilettanti allo sbaraglio o addirittura da figli di buona donna (leggi servizi segreti)? Gli Usa magari stanno cercando un fantoccio qualsiasi da mettere al posto di Putin: di simili operazioni se ne intendono anche se non ne hanno azzeccata una… La diplomazia odierna coniuga l’insipienza di chi non è capace di niente con la spregiudicatezza di chi è capace di tutto.

Quale fiducia meritano i nostri attuali governanti, privi di coraggio, di fantasia e di strategia? Siamo in pessime mani. Gli Usa sobillano gli Ucraini, tanto, come diceva mia sorella dei pazienti di medici irresponsabili, muoiono loro e non gli americani. Gli europei puntano sempre più sulle sanzioni economiche, tanto soffrono i poveri dell’Europa e del mondo. I cinesi con i russi fanno il gioco sporco dei ladri di Pisa.

Mi è rimasta molto impressa l’espressione usata da Romano Prodi per fotografare l’attuale situazione geopolitica: trionfa la “muta ferocia”. E io dovrei ascoltare tutti i giorni e senza battere ciglio, dal mattino alla sera, gente che mi vuol far credere che Gesù Cristo è morto di freddo ai piedi? Stiamo sprofondando in un mare di violenza e di guerra. Oltre tutto solo ora ci accorgiamo di tutti i focolai di guerra presenti nel mondo, solo perché l’Ucraina ci è geograficamente vicina. A chi mi chiede provocatoriamente “e allora” rispondo di non fare il furbo, perché una seria ricerca della pace sarebbe possibilissima pur di volerla. Nessuno, giunti a questo punto, la vuole…

I preti salesiani, che ogni giorno salvano vite dai russi sul confine della prima linea in Donbass, confessano: “Portiamo via i civili dalle bombe e loro ci chiedono armi”. “Mandateci elicotteri e carri armati per difenderci”, ci fredda una volontaria”. Siamo arrivati a questo punto. Capisco la disperazione degli Ucraini che pensano di non affogare attaccandosi a qualsiasi ciambella di salvataggio, anche la più illusoria come quella delle armi. Arrivo persino a concedere armi agli ucraini per riconoscere il loro diritto alla difesa, poi sento che ci si vuole riarmare in tutto l’Occidente, poi sento che si vuole consolidare questa guerra che servirebbe alle potenze per giocare sulla pelle della gente, poi vedo il balletto diplomatico dei telefoni, dei viaggi, degli incontri, degli applausi e delle invettive. E allora divento sempre più scettico.

Ho sentito un giornalista attestarsi sul più bieco ed irridente pragmatismo e chiedere: “Allora cosa mandiamo agli Ucraini? Dei fiori?”. Continuiamo pure con le armi: magari, dopo la guerra difensiva contro la Russia, quelle armi serviranno ad una guerra civile in un Paese devastato da tutti i punti di vista. Anche a me, vedendo i massacri viene la tentazione di reagire con inaudita violenza. Ma chi fa la guerra vuole proprio questo: inserire tutti in una perversa spirale da cui non si può uscire.