Kirill, il grande inquisitore

Se, anziché di fede, discorso molto serio, parlassimo di religione, vale a dire del complicato e spesso artificioso complesso di norme, regole, prescrizioni, precetti e comandi, purtroppo il discorso si farebbe complicato e imbarazzante. Ci sono state le guerre di religione, in nome della religione si è perseguitato e ucciso, in nome della religione si è (s)governato, in nome della religione si è perseguitato, torturato, massacrato, bombardato, ammazzato.  Si trattava di alibi? Di coperture? Di paraventi? Senza dubbio!

Molti, con una certa improvvisazione e superficialità, sostengono che tutte le religioni monoteiste portano in sé un radicalismo ed un integralismo proveniente dall’idea di un Dio vendicativo e geloso. Non conosco affatto il Corano e non sono un biblista, tuttavia davanti a certe pagine della Bibbia, resto indifferente se non addirittura irritato per la loro affabulatoria portata narrativa (si pensi alla creazione e non solo) o per la loro sconvolgente violenza (si pensi agli interventi vendicativi di un Dio a uso e consumo del popolo ebreo). Posso essere provocatorio e forse poco interreligioso? Se togliamo la chiave interpretativa ed esistenziale di Gesù di Nàzaret, rischiamo, a mio incompetente e discutibilissimo giudizio, di pestare l’acqua nel mortaio. Ho sentito o letto una giornalista affermare che anche Gesù cadde nella trappola della violenza religiosa quando disse: “Non sono venuto a portare pace, ma una spada” (Mt 10,34). Se mai qualche equivoco avesse potuto ingenerare questa espressione, finalizzata peraltro solo ad evitare una comoda religione di tipo esteriore, Gesù stesso li ha fugati rimproverando aspramente Pietro, che aveva sguainato la spada per proteggere velleitariamente il maestro all’atto del suo arresto, e dicendogli: “Rimetti la spada nel fodero, perché tutti quelli che mettono mano alla spada periranno di spada…” (Mt 26,52). Mi dispiace ma Gesù non lo si può prendere in castagna, a Gesù non si può fare alcun appunto di tal genere. Ai cristiani sì, a Gesù no!

I cristiani ortodossi – almeno uno dei loro autorevoli capi e chi lo segue – stanno dando pessima prova di sé in occasione della crisi bellica dell’Ucraina aggredita dalla Russia. È una storia vecchia, mi riferisco ai deplorevoli compromessi della Chiesa ortodossa col potere, ma tutto dovrebbe avere un limite, invece…È pur vero che, quando vedo certi filmati dell’epoca fascista in cui il fior fiore della gerarchia cattolica si schiera a sostegno di Benito Mussolini, accontentandosi del piatto di lenticchie (?) del Concordato e sacrificando la vita di sacerdoti e laici antifascisti, mi si accappona la pelle e quindi…anche il cattolicesimo non è da prendere a scatola chiusa.

Ammetto di nutrire da sempre un certo scetticismo riguardo alle prospettive di unificazione, o per lo meno di dialogo, fra le diverse confessioni cristiane: mantengo intatta, nonostante i tentativi anche sinceri, l’impressione che si tratti di divisioni dottrinali molto influenzate da questioni di potere. Gesù, pur non essendo un prete dell’epoca, conosceva molto bene i “suoi polli” e, pur aborrendole con nettezza, le commistioni tra religioni e potere: in fin dei conti la sua morte può essere fatta risalire proprio al timore, da parte dei capi religiosi, di perdere il controllo della situazione. Per questo pregò con intensità ed insistenza affinché i suoi discepoli potessero rimanere uniti nel suo nome, senza cadere nella tentazione del frazionismo o del settarismo al fine di difendere i loro “orticelli clericaloidi”.

Si sono scatenate guerre, persecuzioni, lotte, conflitti in nome della purezza evangelica, ma in realtà soprattutto per motivi di esercizio dell’importante e determinante potere religioso, temporale e non. Il peso della storia e della politica ha inoltre sovrapposto consistenti incrostazioni alle divergenze teologiche e il consolidamento degli schemi divisori ha portato alla radicalizzazione delle differenze, chiudendo i cristiani in veri e propri fortini. L’evidente dimostrazione di tutto ciò sta nell’assurdo, quasi paradossale, appoggio dato da Kirill alle sporche manovre belliche del potere russo.

Come bene sintetizza Riccardo Maccioni su “Avvenire”, malgrado le sollecitazioni “ecumeniche” a prendere le distanze da Putin, a dispetto di una critica interna che pur timidamente cresce, Kirill non cambia strategia. Anzi ribadisce la legittimità dell’azione armata contro l’Ucraina, nel segno di un legittimo meccanismo di difesa della Russia a suo dire minacciata nella propria sicurezza. Molto chiaro in proposito il sermone tenuto nella Chiesa dell’Intercessione in Fili: il patriarca di Mosca e di tutte le Russie ha richiamato i fedeli all’unità. «In questo periodo difficile per la nostra patria – ha detto Kirill – possa il Signore aiutare ognuno di noi a unirci, anche attorno al potere. Così – ha continuato – emergerà la vera solidarietà nel nostro popolo, così come la capacità di respingere i nemici esterni e interni e di costruire una vita con più bene, verità e amore».

Una posizione in linea con i precedenti interventi, a partire dall’omelia del 6 marzo quando Kirill aveva evocato una natura metafisica della lotta contro l’occidente delle false libertà e del peccato ridotto a semplice variazione del comportamento umano, come dimostrano «le parate gay». Dichiarazioni che hanno creato sconcerto anche all’interno del mondo ortodosso legato a Mosca.

Sì, perché gli ortodossi sono molto divisi al loro interno. Il fattore religioso è uno dei temi roventi del conflitto in Ucraina. Nel Paese le due chiese ortodosse, una autocefala con circa 7 mila parrocchie, nata ufficialmente nel 2018 è separata dalla più ampia e potente Chiesa ortodossa ucraina dipendente dal patriarcato di Mosca, che conta quasi 12 mila parrocchie. La scissione tra le due Chiese è avvenuta sull’onda dell’invasione russa della Crimea e del Donbass nel 2014, ma ha radici più antiche e profonde ed è stata formalizzata dal riconoscimento dell’autocefalia da parte del patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo, quattro anni dopo (chi ci capisce qualcosa è bravo…).

Le due Chiese ucraine sono divise da una contesa politico-ecclesiastica, ma entrambe sono compatte nella resistenza contro l’invasore russo, a sua volta appoggiato dalla chiesa ortodossa di Mosca. Una guerra fratricida, che, come si legge sul mensile “Jesus” rischia di lasciare sotto le macerie l’intero cristianesimo slavo.

Proprio nel momento in cui la fede cristiana avrebbe potuto alzare la propria voce di fratellanza e pace è stata invece messa in campo per giustificare da una parte sacrilegamente l’aggressione russa, dall’altra per difendere l’integrità territoriale e resistere al novello Caino Putin. L’incredibile mossa tattica di Kirill ha infatti ricompattato le due Chiese ucraine almeno per fare fronte comune contro l’invasore. Kirill rischia di imitare Putin anche per quanto riguarda l’isolamento in cui si sta cacciando. Fortissime contestazioni dal clero e dai fedeli ucraini, in particolare un gruppo di sacerdoti della Chiesa ucraina rimasta fedele (fino ad ora) al patriarcato russo, vorrebbe intentare causa contro il patriarca presso il Consiglio dei primati delle antiche Chiese orientali. Al momento, secondo l’agenzia l’Ukrainska Pravda, l’appello sarebbe stato sottoscritto da 191 presbiteri ma il numero è destinato a crescere. Caldo anche il fronte del “no interconfessionale” in cui avanza l’ipotesi di un’espulsione del Patriarcato di Mosca dal Consiglio ecumenico delle Chiese (Cec), organismo di cui fanno parte 349 membri, in particolare di tradizione protestante, anglicana e ortodossa.

Non c’è che dire: un casino pazzesco da tutti i punti di vista. Non ho idea cosa potrà sortire un eventuale incontro al vertice fra papa Francesco e il patriarca Kirill. Personalmente lo lascerei bollire nel suo brodo, anche se il dialogo può sempre portare qualche frutto. Gli ucraini non hanno nemmeno un punto di riferimento preciso e saldo in materia religiosa: in balia della barbarie criminale di Putin e Kirill, costretti a fidarsi dell’inaffidabile Occidente, possono solo pregare quel Gesù Cristo in cui credono e che viene assai maltrattato dalle loro sparpagliate gerarchie ecclesiastiche. Non è un caso che il mensile “Jesus”, da cui ho tratto il quadro della situazione religiosa, annoti: “Le invocazioni più potenti sono quelle delle madri che pregano per i figli che si sono arruolati, ma in tanti inneggiano anche alla pace”.

Chiudo queste amare riflessioni pensando al sacrificio di Cristo, che stiamo rivivendo nella Pasqua, ma aggiungo una citazione di carattere artistico, che mi sembra abbastanza pertinente per storicizzare la folle dottrina kirilliana a supporto delle smanie di potere putiniane.

Si tratta del don Carlo, una mirabile sintesi del genio creativo di Friedrich Schiller (poema drammatico Don Carlos, infant von Spanien) e dell’estro musicale di Giuseppe Verdi, con la collaborazione dei librettisti François-Joseph Mèry e Camille Du Locle.

Siamo in Spagna nel sedicesimo secolo, il re Filippo II, un despota appoggiato dalla Chiesa, deve fare i conti con il figlio ribelle che, oltre ad essere innamorato della Regina matrigna, sposa la causa libertaria delle Fiandre. Chiede aiuto al grande Inquisitore, la massima autorità religiosa.

 FILIPPO
Se il figlio a morte invio,
M’assolve la tua mano?

L’INQUISITORE
La pace dell’impero i di val d’un ribelle.

FILIPPO
Posso il figlio immolar al mondo
io cristian?

L’INQUISITORE
Per riscattarci Iddio il suo sacrificò.

FILIPPO
Ma tu puoi dar vigor a legge si severa?

L’INQUISITORE
Ovunque avrà vigor,
se sul Calvario l’ebbe.

FILIPPO
La natura,
l’amor tacer potranno in me?

L’INQUISITORE
Tutto tacer dovrà per esaltar la fè.

FILIPPO
Stà ben.