Il sogno concreto della pace

Rispetto, ascolto e ammiro gli esperti di geopolitica che analizzano la situazione di guerra fra Russia ed Ucraina, anche se mi danno un pericoloso senso di inadeguatezza e di rassegnazione: la guerra purtroppo continuerà a lungo.

Se questa prospettiva mi intimorisce in bocca agli studiosi, mi indispettisce in bocca ai politici investiti di alte funzioni di governo. Per favorire la fine di un conflitto armato innanzitutto occorre credere alla forza della pace per poi perseguirla con tenacia, coraggio e coerenza.

Si è parlato di tregua per alcuni giorni al fine di favorire soprattutto l’istituzione di corridoi umanitari, ma anche per congelare la situazione in vista dell’avvio di qualche seria trattativa. Stando alle notizie giornalistiche l’avrebbe chiesta a Putin il presidente del Consiglio europeo Charles Michel: se pervenuta, la proposta è stata immediatamente respinta al mittente.

Non so sinceramente con quale credibilità e carisma sia stata inviata: pochi giorni prima il presidente del Consiglio europeo Charles Michel, in visita a Kiev, aveva garantito che l’Ue farà “tutto il possibile” per fare in modo che l’Ucraina “vinca la guerra” contro la Russia. “Non siete soli, noi siamo con voi e faremo tutto quanto possiamo per sostenervi e fare in modo che l’Ucraina vinca la guerra”, aveva detto nel corso di una conferenza stampa congiunta con Volodymyr Zelensky.

Ma che razza di diplomazia è questa? Si continua a insultare l’aggressore (vedi gli Usa), si aizza apertamente l’aggredito (vedi Ue) per poi pietire un atto di buona volontà dalle parti in guerra. Si tratta di un macabro balletto, di un (non) innocuo gioco per bambini (?) scemi.

Mi si dirà che questa è solo la facciata e che dietro ad essa devono lavorare i diplomatici per giungere a qualche compromesso da far ingoiare alle parti: sarebbe un gioco al massacro che non porta da nessuna parte, una tattica di logoramento sulla pelle delle potenziali vittime.

La pace ha bisogno di vero e convinto dialogo. Se si dà per scontato che una delle parti non la vuole nel modo più assoluto, casca tutto. Bisogna insistere! Offrire vie d’uscita, costruire ipotesi alternative, mettersi su un altro piano. Parola d’ordine: non arrendersi alla guerra. Mai e poi mai!

Sarò un poeta: così mi definisce una mia simpatica coinquilina alle prese con la mia testarda volontà di dialogo a livello condominiale. Da poeta mi sono “illuso” che di fronte al pur depotenziato ONU e al pur disarmato PAPA Francesco, che chiedevano all’unisono una tregua pasquale, ci potesse essere qualche minimo riscontro pacifico. Mi sto sbagliando. Il segretario generale delle Nazioni Unite non ha purtroppo in mano carte politiche efficaci al di là del prestigio personale e di quello dell’Istituzione che rappresenta.

Per il Papa il discorso è molto diverso. Egli così spiega il lavoro di mediazione vaticano: “Ci sono sempre procedure. Il Vaticano non riposa mai. Non posso dirvi i dettagli perché cesserebbero di essere sforzi diplomatici. Ma i tentativi non si fermeranno mai”. Il Papa spiega anche il significato del gesto, compiuto il primo giorno della guerra, di recarsi a visitare l’ambasciatore russo presso la Santa Sede: “Sono andato da solo. Non volevo che nessuno mi accompagnasse. Era una mia responsabilità personale. È stata una decisione che ho preso in una notte di veglia pensando all’Ucraina. È chiaro, a coloro che lo vogliono vedere bene, che stavo segnalando al governo che può porre fine alla guerra in un attimo. Ad essere onesto, mi piacerebbe fare qualcosa in modo che non ci fosse un solo morto di più in Ucraina. Non uno di più. E sono disposto a fare tutto”.

Ebbene la forza del Papa sta nella sua concreta, oserei dire testarda, adesione ai principi evangelici (purtroppo è solo persino nella casa cristiana), ma, come ebbe a dire tanti anni fa Giovanni Bianchi ex presidente delle Acli e parlamentare del partito popolare, anche nell’esercito di “vecchiette” che pregano per la pace senza magari sapere chi siano Putin e Zelensky. Giorgio La Pira andava a colloquio con i “grandi” a mani nude, armato solo delle preghiere delle suore di clausura. Lo ammise apertamente di fronte ad un attonito politburo dell’Urss. La pace ha bisogno di sognatori più che di raffinati ed inconcludenti governanti ed ambasciatori: i sogni infatti possono diventare belle realtà, le brutte realtà lasciate a loro stesse restano immutabili per sempre.