Dubbi di piazza e certezze di palazzo

Il loggione antifascista ha ruggito. Forse non aspettava altro, ma non ha tutti i torti. ‘Letta servo della Nato”, ‘Fuori i servi della Nato dal corteo”, “Fuori l’Italia dalla Nato”, “Pd partito guerrafondaio”, “Niente soldi alle armi”, “Niente tagli a scuola e sanità”. Sono gli slogan che alcuni manifestanti hanno urlato lungo il corteo del 25 aprile a Milano.

In passato ho partecipato a diverse manifestazioni pubbliche svoltesi per celebrare la festa della Liberazione e della Resistenza: portavo con me un’educazione alla politica ricevuta nel segno dell’antifascismo, una tradizione famigliare e parentale ricca di esperienze resistenziali, una religiosità sposata all’impegno nel cattolicesimo democratico, una profonda coscienza libertaria e aperta al sociale, un dialogo vissuto con tutte le forze politiche antifasciste. Anche allora c’era chi scalpitava sul piano ideologico e cercava pretesti divisivi con la scusa di mantenere immacolata un’eredità storica. Interpretavo, allora come oggi, queste intemperanze come una spina nel fianco alla democrazia, volta a non tradire un passato fulgido con un presente defilato e compromesso. Non si rompe l’unità se qualcuno alza la mano e chiede conto di certe scelte per verificare se siano o meno coerenti con lo spirito resistenziale di un tempo.

Ecco perché non mi sono scandalizzato di certi slogan: me li aspettavo in un momento storico in cui gli eventi bellici portano tutti a radicalizzare i propri sentimenti e ad estremizzare le proprie sacrosante opzioni.

Riporto di seguito le retoriche, esagerate e piccate reazioni alle contestazioni così come riportato in cronaca dall’Ansa.

La costituzione, l’antifascismo sono casa nostra”: è quanto ha detto il segretario del Pd rispondendo a una domanda sulle critiche al partito ricevute da altri manifestanti con uno sparuto numero che ha chiesto di far uscire il Pd dal corteo. “Il 25 aprile è la festa dell’unità del Paese contro tutti i fascismi” ed è “là dove dobbiamo tutti essere”, ha aggiunto Letta che ha richiamato le parole del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. “C’è voglia di lottare per il popolo ucraino contro l’invasore”. Sulla presenza o meno di bandiere Nato in manifestazione ha detto che “le polemiche sono superate. Conta l’unità”. ‘La resistenza è fondamentale per la nostra storia e per il nostro presente per resistere alla violenza”, ha aggiunto.

“Per me la contestazione alla Nato è assolutamente folle”. Lo ha detto il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, parlando delle contestazioni alla Nato annunciate in occasione della manifestazione per celebrare i 77 anni dalla Liberazione che si terrà oggi a Milano. “Non capisco quelli che cercano dei distinguo, come se i 70 anni di storia del nostro Paese non dimostrassero che noi apparteniamo a quella alleanza atlantica – ha aggiunto a margine della deposizione delle corone davanti al Comune -, che ci riconosciamo nei valori dell’Occidente e della Nato. Per me è una contestazione folle”. In merito alla proposta della Brigata Ebraica di Roma di sfilare in corteo portando le bandiere della Nato Sala ha aggiunto che “io sono dell’idea che il 25 aprile è il corteo della gente al di là delle bandiere, poi ognuno faccia quello che vuole. Credo che ognuno di noi debba portare se stesso più che la bandiera”.

“È un grave errore perché queste cose il 25 aprile non servono mai. Anche quando ci sono posizioni diverse bisogna evitare che su singoli fatti si perda la bussola di una posizione unitaria”. Così il presidente di Anpi nazionale Gianfranco Pagliarulo, ha commentato le contestazioni al Pd durante il corteo del 25 aprile a Milano. “Perché non può essere che comune l’obiettivo della pace in una situazione così grave come quella dell’Ucraina e dell’Europa”, ha concluso.

“Purtroppo vedo ancora troppa ideologia, troppo estremismo che guarda a un estremismo di sinistra e che vuole dividere questa giornata”, facendo “un torto a chi ha resistito e a chi ci ha consegnato un Paese democratico”. Lo ha detto il Presidente del Friuli Venezia Giulia e della Conferenza Regioni Fedriga, a margine della cerimonia alla Risiera. “Il 25 aprile è un valore di tutti, non di qualcuno che pensa di appropriarsene oltretutto utilizzando l’intolleranza verso chi non è dalla loro parte politica, negando i valori del 25 aprile stesso. Dobbiamo superare insieme queste divisioni, il 25 aprile non può essere ridotto a una lotta fra bandiere”.

Rispetto queste prese di posizione, non le prendo per oro colato, mi permetto di reagire a modo mio alle contestazioni. Le critiche alla Nato – le cui bandiere non capisco cosa ci facessero dal momento che l’Alleanza Atlantica non è né un partito, né un’associazione, né uno Stato, ma un’alleanza militare – sono più che pertinenti: il cammino della Nato è costellato di tragici errori, di scelte sbagliate e di intenti poco chiari e poco democratici. Criticare è non solo legittimo, ma anche opportuno. Si ha l’impressione che le strategie della Nato passino sopra la testa dei Paesi aderenti ad essa e che spesso non corrispondano a logiche democratiche e pacifiche. Ammetterlo è cosa onesta senza per questo voler mettere in discussione scelte storiche, che, pur mantenendo la loro validità, dovrebbero essere comunque soggette a revisione alla luce dei tempi. Per stare all’argomento che frulla in testa a tutti in questo periodo, siamo sicuri che la Nato abbia fatto e stia facendo tutto il possibile per prevenire, evitare e interrompere le guerre in atto? Siamo sicuri che la Nato non sia sempre più strumento inquadrabile nella mera strategia statunitense? Siamo sicuri che al di sotto della Nato non ci siano intenti espansionistici più che scopi difensivi?

Enrico Letta anziché fare la lumaca con il Pd ridotto a cassa di risonanza draghiana, farebbe meglio a porsi certe domande, senza bisogno di stracciarsi le vesti, anche perché sotto quelle vesti non c’è rimasto niente. Letta non è servo della Nato, è servo del suo nulla. Quando gli si imputa una miope e subìta politica riarmista a scapito di una irrinunciabile vocazione alla pace e di una doverosa attenzione ai problemi sociali, si mette il dito in una piaga che rischia di diventare puzzolente.

Siamo sicuri che rientri in una politica di sinistra spendere soldi in armi per preparare la guerra che non garantirà mai e poi mai la pace? Non si può ridurre queste domande di fondo a mero e fazioso vaneggiamento ideologico. A slogan che esprimono vere e proprie crisi di coscienza non si deve rispondere con altri slogan che esprimono un realismo politico che fa a pugni con le idealità basilari della nostra democrazia.

Siamo sicuri di tenere un comportamento coerente con la nostra Costituzione inviando armi all’Ucraina e non facendo nulla per favorire veramente un dialogo con la scusa che tutto sia inutile e che debba necessariamente prevalere la logica delle armi? Sono dubbi che nutro in coscienza e non accetto che alcuno me li cacci in gola in nome della Resistenza e dell’unità democratica.

Siamo sicuri che l’Italia stia perseguendo un europeismo degno del manifesto di Ventotene e della lungimiranza degasperiana? Siamo sicuri che il nostro Paese stia rispettando il suo storico, sofferto e costruttivo atteggiamento di adesione critica all’Alleanza Atlantica? Siamo sicuri che gli interessi Usa non stiano prevaricando quelli dei Paesi europei?  Mi fermo perché i dubbi potrebbero diventare troppi e persino paralizzanti e/o fuorvianti.  Concludo affermando che non mi scandalizzo dei dubbi miei e di chi osa contestare, ma delle fantomatiche certezze dei politici di turno. Sarà forse vero che dalla mia parte ci stanno i capaci di niente, ma attenzione perché dall’altra ci sono in agguato i “capaci di tutto”.